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I misteri della Bassa, si è perso nella nebbia l’ultimo Don Camillo con Fernandel e Cervi

Caccia ai 43 minuti di film girati a Brescello nel 1970: l’attore francese, già malato sul set, morì poco dopo

Redazione
|23 ore fa
Fernandel e Gino Cervi sul set a Brescello nel 1970
Fernandel e Gino Cervi sul set a Brescello nel 1970
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Nell’estate del 1970, a Brescello, prendevano il via le riprese di “Don Camillo, Peppone e i giovani d’oggi”, sesto capitolo della celebre saga tratta dai racconti di Giovannino Guareschi. Doveva essere il primo film a colori della serie, il ritorno della coppia Fernandel-Cervi, pronta a confrontarsi con un’Italia in pieno cambiamento: le proteste del Sessantotto, le tensioni ideologiche, le novità introdotte dal Concilio Vaticano II. Ma il destino aveva altri piani. Fernandel, già malato, crollò durante le riprese e morì pochi mesi dopo. Guareschi era scomparso due anni prima. Il film, rimasto incompiuto, non venne mai terminato.
Le bobine girate - circa 43 minuti - non furono montate né diffuse, alimentando un’aura di leggenda. Secondo Egidio Bandini, giornalista e studioso guareschiano, il materiale fu visto solo dal regista Christian-Jaque e dai montatori. «Persino quei 43 minuti - osserva - potrebbero contenere ciak ripetuti. Le scene più promettenti? Non lo sapremo finché quelle pellicole non verranno ritrovate. Certo è che, se ciò accadesse, con le tecnologie di oggi - intelligenza artificiale compresa - riuscire a montare il film potrebbe diventare possibile».
Quando Fernandel si aggravò, la produzione valutò l’uso di una controfigura o di suo figlio Franck. Ma Gino Cervi si oppose con decisione. «Non sarà mai Peppone senza il mio Don Camillo», avrebbe detto. Per Bandini, quella di Cervi fu una scelta tanto affettiva quanto artistica. «C’era un legame fortissimo tra i due attori. E il ruolo di Peppone era diventato parte di lui. Lo stesso Guareschi gli propose in passato di interpretare Don Camillo a teatro, ma rifiutò: non voleva tradire né l’amico né il personaggio». Fernandel, prima di interrompere le riprese, registrò in anticipo tutta la traccia audio del film. Un gesto che, secondo Cervi, dimostrava la volontà dell’attore di lasciare comunque la propria voce al pubblico. «Ma quella voce era in francese - precisa Bandini - e forse avrebbe commosso solo gli spettatori d’Oltralpe».
Poi, il silenzio. Le pellicole sparirono. C’è chi ipotizza che siano state distrutte, per evitare confronti col remake del 1972. Altri - tra cui Bandini - ritengono che siano conservate in un caveau dei Lloyd’s di Londra, che avevano assicurato la produzione. «Anni fa - racconta Bandini - il critico Maurizio Schiaretti disse di aver visto una copia alla Cineteca Nazionale. Con gli eredi Guareschi chiedemmo informazioni, ma le risposte furono vaghe». Non ci sarebbero veti ufficiali da parte della famiglia. Tuttavia, un eventuale recupero richiederebbe una nuova trattativa sui diritti d’autore, già sfruttati per il film del 1972.
Gino Cervi senza baffi con Christian-Jaque
Gino Cervi senza baffi con Christian-Jaque
Quel film, diretto da Mario Camerini, fu realizzato con mezzi limitati. Gastone Moschin e Lionel Stander interpretarono Don Camillo e Peppone, ma non riuscirono a ricreare l’intesa della coppia originale. «Moschin certamente aveva il physique du role per interpretare Don Camillo - spiega Bandini - mentre Stander risultava sottotono nell’interpretazione di Peppone. Nessuno poteva reggere il confronto con Fernandel e Cervi. Sicuramente si scelsero un attore italiano e uno straniero proprio per dare un senso di continuità rispetto ai film precedenti».
Il pubblico non premiò il film, che fu rivalutato solo anni dopo. I temi del Sessantotto restarono sullo sfondo: una farmacista maoista, una balera invasa da giovani contestatori. Più che una reale riflessione sull’epoca, sembravano maschere leggere. «D’altra parte - aggiunge Bandini - era una serie rivolta a famiglie, senza prese di posizione troppo nette».
Ma se fosse uscito il Don Camillo del 1970, sarebbe cambiato qualcosa? «Il messaggio del Mondo Piccolo è più attuale che mai - risponde Bandini - e non è mai stato conservatore. Lo dimostrano anche le parole di Papa Francesco, che ha detto che la Chiesa ha bisogno di preti come Don Camillo». La sceneggiatura di quel film mai nato era tratta dai racconti della serie “Don Camillo e la ragazza yé yé”, pubblicati su Oggi. «È vero - continua Bandini - non era rivoluzionaria, ma raccontava il cambiamento con lo sguardo familiare e ironico di Guareschi. Il Mondo Piccolo, pur restando fedele a sé stesso, sapeva dialogare con la modernità».
A oltre cinquant’anni di distanza, “Don Camillo, Peppone e i giovani d’oggi” resta un film fantasma. Non solo per la sua assenza, ma per ciò che rappresenta: un progetto interrotto, un’Italia in trasformazione, un’amicizia irripetibile. Forse quei girati esistono ancora, chiusi in un archivio dimenticato. Forse no. Ma certe storie, proprio perché senza un finale, restano vive nella memoria.
Giulia Marzoli