L'abbraccio tra l'ex detenuta e la guardia 46 anni dopo
Nel 1979 Masina Crugliano riuscì a confidarsi con Carla Covati: aveva ucciso il marito perché se no lui l'avrebbe ammazzata. Si sono ritrovate grazie a un libro

Elisa Malacalza
July 11, 2025|6 giorni fa

L'abbraccio tra Masina e Carla ieri davanti all'ex carcere - © Libertà/Elisa Malacalza
La piccola Giulia le corre incontro in via del Consiglio a Piacenza, vorrebbe essere come Elsa di Frozen, la principessa che ha paura di ferire chi ama. “Nonna, nonna, eccomi”, le dice. Masina Crugliano la fa volare e le spiega che tutte le donne sono principesse. E che lì, tra via del Consiglio e via Benedettine, lei è stata chiusa in una torre, nella prigione, 46 anni prima. Anche lei era ed è una principessa, che però ha ucciso suo marito, quando era poco più di una bambina, prima che lui l’ammazzasse, quel giorno, quando non si aspettava di trovarselo in casa - «Un diavolo» - dopo aver annunciato di fare l’unica altra cosa che le poteva salvare la vita: volersi separare.
Dodici anni di carcere, perché nel 1979 la legittima difesa, lo stupro, il femminicidio «era qualcosa cui tutto sommato la società strizzava l’occhio, perché forse la donna qualcosa aveva fatto di male per meritarsi le botte, no?».
Masina quando ha detto al marito che era incinta è stata presa a calci con gli anfibi dritto in pancia: Masina ha tentato per tre volte il suicidio, «Vede i segni dei tagli, sui polsi?», e poi dalla disperazione si è lanciata dalla finestra. Un volo di dieci metri, «Mentre pregavo Dio di salvarmi, per non dare un dolore alla mia mamma», e per scappare da lui. «Ero innamoratissima, lo avevo conosciuto quando avevo 12 anni, ci siamo sposati che ne avevo 17. Ho sempre sperato cambiasse, questo è stato l’errore. Ma la verità è che nessuno cambia, questo voglio dire alle donne. Non date mai una seconda possibilità, mai».
Lo aveva chiesto anche alla guardia carceraria, Carla Covati, di Pradella di Coli, al tempo una 23enne che indossava un maglione di ciniglia verde acqua e tanti sogni: i loro occhi, nel carcere di Piacenza, si sono inchiodati per sempre gli uni agli altri, oltre le sbarre. L’amicizia è iniziata così: da un “Racconta”. «Masina era diversa dalle altre detenute, non parlava mai, voleva restare in cella. Aveva i ferri alla mandibola, in bocca, perché così era stata ridotta», sottolinea Carla. «In questi anni ho pensato spesso a quella ragazzina chiusa a riccio che aveva trovato la forza di raccontarmi la sua storia ma di notte aveva gli incubi... Mi chiedevo dove fosse finita... Fino a che non ho trovato il suo nome in un libro, il suo. L’ho contattata tramite i social, emozionata. Le ho detto “Sono Carla”».
Si sono riviste ieri, 46 anni dopo, tenendo stretto tra le mani il libro che parla di loro e dell’ “Ingenuità che uccide” - è il titolo - edito da Graus, «perché l’editore è una persona stupenda, speciale, non ci fermiamo a questo testo ma andremo avanti», aggiunge Crugliano. «Tra poco riparto, per una presentazione a Ischia e poi per un’altra a Cirò Marina, il mio paese di origine», precisa l’autrice, che ripete come «anche in carcere possano nascere amicizie profondissime. Ma Carla aveva il cuore più grande di tutti». La aspetta anche a Pradella, dove Carlina porta avanti con la famiglia la pizzeria e dove ha ospitato la famiglia di Masina per due giorni, dopo l’abbraccio davanti al carcere con gli occhi pieni di lacrime: «Questa era la zona dell’ora d’aria... Quella là in fondo che si vede dalla strada era la mia cella», sottolinea Masina.
Ad aspettarla c’è anche il medico Salvatore Visalli: fu lui a togliere i punti dalla mandibola sfasciata di quella ragazza con gli occhi neri, alla fine degli anni Settanta. «Ricordo perfettamente il suo volto, perché quella di Masina era una storia che restava impressa. La violenza non è mai una strada, e oggi nel rivedere lei e Carla ho pensato a come siano cambiate, in meglio, entrambe». Carla, dopo aver conosciuto la storia di Masina, si è iscritta all’Università: Sociologia. La storia di Masina per lei è stata un manuale di istruzioni, come per Giulia la fiaba di Frozen: quello che chiamiamo “amore”, a volte, è solo un appellativo. L’amore vero fa bene. Come un’amicizia intatta da 46 anni.
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