Le strisce di Gaza
Strisce ma anche vignette e tavole complete per raccontare a fumetti il dramma italo-palestinese
Redazione
|40 giorni fa

"Never Again And Again" di Art Spiegelman e Joe Sacco
A volte i fumetti si leggono per evadere dalla realtà, altre per guardarla in faccia. Non i fumetti di puro intrattenimento, naturalmente, bensì quelli del graphic journalism, che in italiano si chiama “giornalismo disegnato” o appunto “fumetto della realtà”. Per chi non l’avesse mai incontrato sul suo cammino di lettore, il graphic journalism è giornalismo a tutti gli effetti e non di rado del migliore, che nasce sul campo per testimonianza diretta e cresce attraverso la volontà di capire. Con la differenza che il cronista, raccolte informazioni a sufficienza, invece d’iniziare a scrivere si mette a disegnare. Per quale ragione?
Innanzitutto perché ciascuno ha il proprio modo d’esprimersi, tuttavia non meno poiché ricorrere alle immagini carica la cronaca di ulteriori significati e la successione delle vignette li organizza in un racconto, nel quale il pubblico è coinvolto anche emotivamente. Disegnare comunque richiede molto più tempo, perciò il giornalismo a fumetti raramente si presta a resoconti dell’evento del giorno, meglio adattandosi all’equivalente di servizi d’approfondimento (interi volumi!) dedicati ai fatti destinati a restare a lungo d’attualità. In senso positivo, però più spesso a tragedie come quella israelo-palestinese che dal 7 ottobre 2023 concentra l’attenzione dei media, fumetto compreso. Per affrontarla e tentare di spiegarla al di là dei bollettini giornalieri sono scesi in campo due fumettisti del calibro di Joe Sacco e Art Spiegelman. Nomi che a chi non ha consuetudine con le graphic novel (poiché spero che questa mia Officina coinvolga anche qualche non-habitué curioso di novità) potrebbero non dire nulla, seppure l’americano Spiegelman, collaboratore del New York Times nonché art director e copertinista per The Newyorker, sia l’autore di “Maus”, il romanzo grafico celebrato internazionalmente in cui narra la vicenda dei suoi genitori, ebrei polacchi sopravvissuti ad Auschwitz, che gli ha guadagnato un Premio Pulitzer. Il maltese-statunitense Sacco è altresì una delle firme più famose del graphic journalism e ha attraversato e raccontato a fumetti i teatri bellici degli ultimi decenni, dalla Guerra del Golfo a quella Serbo-Bosniaca, all’Iraq e alla Palestina.
Innanzitutto perché ciascuno ha il proprio modo d’esprimersi, tuttavia non meno poiché ricorrere alle immagini carica la cronaca di ulteriori significati e la successione delle vignette li organizza in un racconto, nel quale il pubblico è coinvolto anche emotivamente. Disegnare comunque richiede molto più tempo, perciò il giornalismo a fumetti raramente si presta a resoconti dell’evento del giorno, meglio adattandosi all’equivalente di servizi d’approfondimento (interi volumi!) dedicati ai fatti destinati a restare a lungo d’attualità. In senso positivo, però più spesso a tragedie come quella israelo-palestinese che dal 7 ottobre 2023 concentra l’attenzione dei media, fumetto compreso. Per affrontarla e tentare di spiegarla al di là dei bollettini giornalieri sono scesi in campo due fumettisti del calibro di Joe Sacco e Art Spiegelman. Nomi che a chi non ha consuetudine con le graphic novel (poiché spero che questa mia Officina coinvolga anche qualche non-habitué curioso di novità) potrebbero non dire nulla, seppure l’americano Spiegelman, collaboratore del New York Times nonché art director e copertinista per The Newyorker, sia l’autore di “Maus”, il romanzo grafico celebrato internazionalmente in cui narra la vicenda dei suoi genitori, ebrei polacchi sopravvissuti ad Auschwitz, che gli ha guadagnato un Premio Pulitzer. Il maltese-statunitense Sacco è altresì una delle firme più famose del graphic journalism e ha attraversato e raccontato a fumetti i teatri bellici degli ultimi decenni, dalla Guerra del Golfo a quella Serbo-Bosniaca, all’Iraq e alla Palestina.
Il fumetto è un mezzo (anche) visivo, dove le scelte stilistiche parlano quanto i testi. Lo stile di Spiegelman è essenziale e nitido, con vignette uniformi e cadenzate – quasi come quelle delle pubblicazioni per bambini – che con la rappresentazione dei personaggi come animali umanizzati (in “Maus” gli ebrei sono topi, gatti i nazisti e così via) hanno reso surreale e straniante il racconto della Shoah. Quello di Sacco invece è ridondante di segni, con vignette sovraffollate e sghembe e i suoi personaggi sono brutti: non nel senso di disegnati male, quanto espressionisti e grotteschi. Stili diversissimi, eppure insieme i due hanno realizzato e pubblicato l’anno scorso (online e su carta, in Italia dalla rivista ”Internazionale”) la graphic novel “Never Again and Again”, dove con garbo impietoso analizzavano la crisi di Gaza, già prevedendo il peggio.

Nel frattempo sono uscite altre opere, come quella della fumettista libano-palestinese Gina Nahkle Koller. Intitolata “Mentre il mondo guarda”, non è propriamente una graphic novel, bensì una raccolta di vignette – una al giorno – che commentano ciò che accade nella Striscia. L’autrice ne ha lasciato libero l’impiego per le manifestazioni, così che ne sono stati ricavati manifesti e adesivi sfruttati nelle proteste, dall’Europa agli USA. Singole illustrazioni che compongono una narrazione continua sono anche quelle di Mohammad Sabbaneh per “30 Seconds from Gaza”, il cui titolo si riferisce alla lunghezza dei video postati sui social dagli abitanti della città martoriata. La drammaticità delle sue immagini è resa più intensa dall’essere state create in parte in digitale, ma anche su carta, recuperata fortunosamente con il peggiorare dello scenario, a china o con quanto era disponibile per rimpiazzare l’inchiostro. Come il caffè.
Nondimeno, a mio modo di vedere, i lavori di giornalismo disegnato prodotti nel vivo del conflitto non sono sufficienti a comprenderlo. Occorre guardare indietro e i fumetti ne offrono l’opportunità. Sempre Joe Sacco ha iniziato a occuparsene fin dal 1991 con il reportage grafico “Palestina, una nazione occupata”, in cui conduce il lettore nelle case dei palestinesi, per conoscerli come individui e mostrarne le condizioni di vita. Gli fanno da contraltare le “Cronache di Gerusalemme” del fumettista e animatore canadese Guy Delisle, scritte e disegnate ormai quasi vent’anni fa, eppure assolutamente attuali. Accompagnando la moglie, operatrice di Medici Senza Frontiere, Delisle ha trascorso un anno nel villaggio di Beit Hanina, formalmente israeliano e situato alla periferia est di Gerusalemme, ma in pratica facente parte della cisgiordania. Di quell’esperienza ha fatto un libro che illustra la quotidianità, i disagi e la continua tensione di chi vive nei territori occupati, visti con lo sguardo d’uno straniero. Il suo tratto spigoloso, minimale e pulito al confine del rudimentale, disegna i panorami spogli d’una terra di nessuno che solo occasionalmente cedono il passo alle inquadrature, più ricche di dettagli e movimento, della città vecchia di Gerusalemme. È una soluzione ricercata, che trasmette l’impressione di desolazione di Delisle di fronte a quei grandi insediamenti urbani che si definiscono colonie: il valore del suo lavoro sta nella descrizione della normalità ansiogena di quella dimensione non turistica d’Israele, contrapposta alla precarietà della Palestina di Sacco.
Nondimeno, a mio modo di vedere, i lavori di giornalismo disegnato prodotti nel vivo del conflitto non sono sufficienti a comprenderlo. Occorre guardare indietro e i fumetti ne offrono l’opportunità. Sempre Joe Sacco ha iniziato a occuparsene fin dal 1991 con il reportage grafico “Palestina, una nazione occupata”, in cui conduce il lettore nelle case dei palestinesi, per conoscerli come individui e mostrarne le condizioni di vita. Gli fanno da contraltare le “Cronache di Gerusalemme” del fumettista e animatore canadese Guy Delisle, scritte e disegnate ormai quasi vent’anni fa, eppure assolutamente attuali. Accompagnando la moglie, operatrice di Medici Senza Frontiere, Delisle ha trascorso un anno nel villaggio di Beit Hanina, formalmente israeliano e situato alla periferia est di Gerusalemme, ma in pratica facente parte della cisgiordania. Di quell’esperienza ha fatto un libro che illustra la quotidianità, i disagi e la continua tensione di chi vive nei territori occupati, visti con lo sguardo d’uno straniero. Il suo tratto spigoloso, minimale e pulito al confine del rudimentale, disegna i panorami spogli d’una terra di nessuno che solo occasionalmente cedono il passo alle inquadrature, più ricche di dettagli e movimento, della città vecchia di Gerusalemme. È una soluzione ricercata, che trasmette l’impressione di desolazione di Delisle di fronte a quei grandi insediamenti urbani che si definiscono colonie: il valore del suo lavoro sta nella descrizione della normalità ansiogena di quella dimensione non turistica d’Israele, contrapposta alla precarietà della Palestina di Sacco.
L’esplorazione dei fumetti generati dalla questione palestinese sarebbe ben più lunga e altri continuano ad aggiungersi, ma è obbligo citare almeno una della prime graphic novel, “Valzer con Bashir”, scritta dal regista e sceneggiatore Ari Folman e disegnata dall’artista David Polonsky, entrambi israeliani. Partendo da un sogno, la vicenda ricostruisce l’episodio del massacro operato nel 1982 dai falangisti libanesi nei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila e nel 2008 ne è stato tratto un film d’animazione, premiato (fra i vari riconoscimenti mondiali) con un Oscar e un Golden Globe. Tanto nel fumetto che nella pellicola il protagonista è lo stesso Folman, così come nella maggior parte delle opere di graphic journalism è uso che l’autore appaia nelle proprie tavole come personaggio, allo scopo di rievocare in modo più vivido quanto ha vissuto, portando con sé il pubblico. Va peraltro detto che in tal modo le narrazioni si colorano a volte come prese di posizione personali anziché del distacco imparziale richiesto al giornalismo, disegnato o scritto che sia, ma trattando di determinate situazioni – questa e altre che riempiono le cronache a fumetti – può essere arduo mantenere una visione neutrale.
Intanto Joe Sacco ha continuato a riferire della situazione nella Striscia sul sito del “The Comics Journal” e nell’albo “War on Gaza”, per il quale ha ricevuto il Premio Eisner, il più prestigioso nel mondo del fumetto d’oltreoceano. Contro quest’assegnazione si sono scagliati Uri Fink e Michel Kichka, presidente e vicepresidente dell’associazione degli autori israeliani di fumetti (nessuno dei quali, va sottolineato, è noto come sostenitore di Netanyahu), definendolo un pamphlet di pura propaganda. Qualsiasi opinione è lecita, però da parte loro la reazione migliore sarebbe stata una graphic novel giornalistica adeguata a sostenerla.
ALESSANDRO SISTI
Intanto Joe Sacco ha continuato a riferire della situazione nella Striscia sul sito del “The Comics Journal” e nell’albo “War on Gaza”, per il quale ha ricevuto il Premio Eisner, il più prestigioso nel mondo del fumetto d’oltreoceano. Contro quest’assegnazione si sono scagliati Uri Fink e Michel Kichka, presidente e vicepresidente dell’associazione degli autori israeliani di fumetti (nessuno dei quali, va sottolineato, è noto come sostenitore di Netanyahu), definendolo un pamphlet di pura propaganda. Qualsiasi opinione è lecita, però da parte loro la reazione migliore sarebbe stata una graphic novel giornalistica adeguata a sostenerla.
ALESSANDRO SISTI