Era guardia in carcere, ritrova un'ex detenuta dopo 46 anni

«Masina aveva ucciso il marito per difendersi dalle violenze. Era il 1979, non si parlava di legittima difesa. Ho trovato in un libro la sua storia»

Elisa Malacalza
Elisa Malacalza
June 16, 2025|10 giorni fa
Carla Covati con il libro "L'ingenuità che uccide" - © Libertà/Pietro Zangrandi
Carla Covati con il libro "L'ingenuità che uccide" - © Libertà/Pietro Zangrandi
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Un cuore, oltre le sbarre e oltre questi ultimi 46 anni sembrati 46 giorni. È quello di Carla Covati, che noi siamo abituati a vedere in pizzeria alla Pradella di Coli, tra la farina, la famiglia e il bancone. Ha solo ventitré anni quando, nel 1979, fa un mestiere tutto da “uomo”: è la vigilante in carcere a Piacenza, al tempo una cittadella tra vicolo del Consiglio e via Benedettine, dove sulle mura, prima dei restauri, si trovarono scritte così: “Mi sono rovinato con le mie mani”.
Carla entra ogni giorno nelle celle e prova invece a ricucire i fili della speranza e di un futuro che non sia impossibile: è lì che si innamora del senso di riscatto che ognuno ha il diritto di custodire, ed è lì che capisce di voler studiare, con tutta se stessa. Quell’esperienza la porterà alla laurea in Sociologia a Urbino, poi in Giurisprudenza. E il merito fu anche dell’amicizia con una detenuta, massacrata di botte e umiliazioni dal marito che alla fine lei aveva ucciso, scontando così una lunga pena negli anni in cui lo stupro era solo un reato contro la morale, non contro la persona. Carla, ora, ha ritrovato Tommasina Crugliano, per tutti “Masina”: si incontreranno di persona per la prima volta dopo 46 anni il 10 luglio, davanti al vecchio carcere. «Tommasina non l’ho mai dimenticata. Mi colpì subito. Aveva poco più di 18 anni ed entrò in carcere distrutta. Non aveva più i denti e la mandibola sostenuta solo dai ferri. Lei, originaria di Cirò Marina in Calabria, tendeva a isolarsi, si vergognava. Viveva nell’incubo di aver ammazzato il marito nel 1978, il 13 novembre, per legittima difesa. Solo che al tempo la legittima difesa neppure si sapeva cosa fosse», ricorda Carla.
Il dolore ingiusto di una bambina che a 12 anni aveva conosciuto il marito e con lui, poco dopo, si era trasferita a Canegrate, nel Milanese, iniziando l’incubo, le era entrato nel cuore come una lama affilata: «Ogni tanto raccontavo a mio marito quella storia. Cercando un contatto, mai trovato. Gli anni van veloci. Io ho lavorato in Posta, ho costruito la mia famiglia. Ma un giorno, pochi mesi fa, per caso ho trovato la descrizione di un libro, la copertina. Non ho avuto dubbi. Era il suo», ricorda Carla. «Ho trovato un contatto, mi ha risposto una voce femminile. Ho chiesto come poter parlare all’autrice. E quella voce mi ha detto “Sono io...”. Mi è venuto da piangere».
Il libro si intitola “L’ingenuità che uccide” e parla anche di lei: di Carla, la vigilante del carcere cui Masina diceva sempre “Tu sei troppo buona per questo mestiere”. Oggi l’autrice vive a Colonia, in Germania: è sposata, è mamma (e infatti il libro è dedicato a sua figlia Maria), è nonna. «Masina al telefono mi ha detto “Voglio tornare in quella strada, a Piacenza, quella del carcere”». Si vedranno, contro i pregiudizi arcaici di una terra che ne aveva limitato l’emancipazione, contro quel marito violento per il quale Masina arrivò a gettarsi dal quarto piano, disperata. Si vedranno per riconoscersi nell’amicizia nata oltre le sbarre: «Io non ho avuto mai alcun pregiudizio. I suoi occhi erano così buoni», ricorda Carla. Tiene tra le mani il libro (l’editore, Graus, è lo stesso del “Ragazzo dai pantaloni rosa”), legge l’invito ad amare la vita così com’è. Ad avere fede. Quell’invito, un po’, gliel’ha insegnato Carla.