Tanti auguri, Caje: 85 anni d’amore per il calcio e per Bobbio
Prima giocatore, poi tecnico: compie gli anni Giancarlo Cella, nel cuore degli appassionati piacentini

Michele Rancati
|47 giorni fa

L'iconica rovesciata di Caje Cella durante Inter-Roma
Quando il 9 agosto scorso si è accomodato sulle tribune del Candia, per vedere di persona l’amichevole tra la sua Bobbiese e il suo Piacenza, Giancarlo “Caje” Cella è stato sommerso dall’affetto dei tifosi sugli spalti.
Un problema di salute gli consente di uscire poco, ma quello era un appuntamento a cui non poteva rinunciare. Così come non ha voluto tradire una felice tradizione, ossia di presentarsi al primo giorno di preparazione dei neroverdi. «È il nostro talismano, basta la sua presenza per darci la carica», commenta il presidente Massimiliano Scabini.
Oggi Caje compie 85 anni. Ha vissuto una vita che anche oggi molti ragazzi sognano: il debutto nel Piacenza, la Serie A con il Torino, il Catania, l’Atalanta e l’Inter, con cui ha vinto anche uno scudetto. Poi il ritorno in biancorosso per chiudere la carriera (ultima gara in campo Piacenza-Imperia del 18 giugno 1972) e iniziare quella da allenatore.
Un problema di salute gli consente di uscire poco, ma quello era un appuntamento a cui non poteva rinunciare. Così come non ha voluto tradire una felice tradizione, ossia di presentarsi al primo giorno di preparazione dei neroverdi. «È il nostro talismano, basta la sua presenza per darci la carica», commenta il presidente Massimiliano Scabini.
Oggi Caje compie 85 anni. Ha vissuto una vita che anche oggi molti ragazzi sognano: il debutto nel Piacenza, la Serie A con il Torino, il Catania, l’Atalanta e l’Inter, con cui ha vinto anche uno scudetto. Poi il ritorno in biancorosso per chiudere la carriera (ultima gara in campo Piacenza-Imperia del 18 giugno 1972) e iniziare quella da allenatore.

Il complimento più grande ricevuto? «Il Guerin Sportivo titolò “Cella come Sivori”, che allora era il più forte di tutti», ha rivelato Caje qualche anno fa.
Il rimpianto più grande? «L’infortunio al ginocchio del marzo 1962 - ha sempre spiegato, con il volto che si rabbuiava anche a 50 anni di distanza - che mi costò la convocazione in Nazionale e i Mondiali del 1962. Ma già prima dovevo essere chiamato in Azzurro - aveva aggiunto Caje in più di un’occasione - ma già allora l’immagine contava e mi venne preferito tal Ferrante, che in campo aveva fatto meno di me, ma era alto, biondo e capellone». Nei momenti duri, tornava a Bobbio, dove trovava la forza per ripartire. Un legame viscerale, che lo ha accompagnato anche in tutta la carriera da tecnico. Ovunque allenasse, chiamava i suoi ragazzi “boys”, riferendosi proprio ai giovani bobbiesi con cui era cresciuto.
L’impercettibile filo della storia lo ha legato agli Inzaghi: Caje è stato fino alla loro esplosione il calciatore piacentino più illustre, anche se si diceva che il fratello Albino (affrontato in un Torino-Mantova del 1961) fosse più forte, ma meno determinato di lui. Un po’ la storia di Pippo e Simone, che tanto tempo dopo, a metà degli anni 90, diventarono i suoi pupilli nel settore giovanile del Piacenza.