Majed, dall’orrore di Gaza alla rinascita in Italia
I suoi video mentre in lacrime era abbarbicato sulle macerie di Gaza, hanno migliaia di visualizzazioni

Paola Brianti
|24 giorni fa

I suoi video mentre in lacrime era abbarbicato sulle macerie di Gaza, hanno migliaia di visualizzazioni. Negli spezzoni pubblicati dai giornali, dalle televisioni e condivisi sui social, Majed Al-Shorbaji chiede di tornare a casa, e la sua casa è in Italia. Dice «voglio uscire, non ci voglio stare qua, ho paura». Dopo 18 mesi di bombe, fughe, dopo la nascita di un figlio, a fine giugno 2025 è tornato a casa, e lui e la sua storia saranno oggi, domenica 28 settembre, alle 17.15 al Festival Transitare di Calendasco.
Una storia piccola tra tantissime, che racconta molto della politica, della guerra, di cosa sta accadendo di là dal mare. Arrivato in Italia nel 2019 per fuggire dal conflitto, Majed trova un lavoro da magazziniere e una nuova vita a Fidenza. Nell’estate 2023 però, deve tornare là: suo padre sta male, «non respirava, dovevo rientrare a Gaza city», dice. Il 7 ottobre 2023 i miliziani di Hamas escono dalla Striscia, attaccano il territorio di Israele, fanno morti e ostaggi. La risposta è la guerra, un’altra, «la più brutta di tutte quelle che ho vissuto, sin da quando ero bambino lì». Majed resta bloccato tra esplosioni, macerie, morte, senza cibo: ogni adulto di Gaza per Israele è arruolabile, a nulla serve un permesso di soggiorno italiano, un contratto di lavoro a tempo indeterminato. L’inferno di Gaza diventa la sua galera. «Ero nel campo profughi di Jabalya, dove abitavo anche da bambino - ricorda - ma siamo dovuti scappare anche da lì, perché hanno bombardato le tende».
Si interessano a lui la onlus Ciac di Parma e Marco Romeo, caparbio esponente fidentino di Potere al popolo. Insieme muovono giornali, parlamentari, sindaci, un tam tam che arriva fino alla Farnesina e al ministro Antonio Tajani. Dopo numerosi tentativi di evacuazione, il 27 giugno Majed arriva a Fidenza. Ora ha un nuovo lavoro, un bambino «nato il 2 giugno, la Festa della Repubblica, me lo ha detto l'ambasciatore quando eravamo nell'ospedale italiano in Giordania», una lunga sosta prima del ritorno. Il bimbo si chiama Maher, «come mio padre. Dorme e cresce - dice Majed - e per lui vorrei un futuro senza fame, senza droni, con la scuola, una vita diversa da quella che abbiamo avuto io e la sua mamma Lanis», che è laureata in inglese e sta studiando l'italiano.
Una storia a lieto fine, ma non felice: «Ho visto persone morire per un pezzo di pane. A mio fratello hanno sparato perché cercava della farina dai camion. Ho un cugino e tanti amici che sono morti in questi mesi, - conclude Majed - Di molti di loro non sappiamo niente, da settimane mia moglie non ha contatti con il padre. Nella guerra ci sono nato, ho sempre vissuto in un campo profughi, c'ero nel 2008, nel 2012 e anche nel 2014. Ma quello che sta succedendo ora a Gaza non è una guerra. Muoiono i civili, non i militari. È una cosa mai vista».