Giù l’ultima casa della vecchia via Veneto: in strada affiorano i ricordi
Demolito il “santuario” dei motorini e delle moto, che era stato chiuso nel 2007 dopo mezzo secolo di storia. Qui era nato il quartiere

Elisa Malacalza
|3 giorni fa

Con la demolizione, fatta e finita nel giro di due giorni, della vecchia officina “di Ettore”, è stato detto addio agli ultimi mattoni bianchi e blu della vecchia via Vittorio Veneto, che Piacenza volle così chiamare per rendere onore ai 4.598 piacentini caduti per la vittoria del ‘18.
Da piazzale Medaglie d’oro al canale “della fame”: negli anni Trenta qui furono costruite le prime villette liberty che si vedono ancora nella prima parte della strada - era campagna, prima - e quelle fecero poi da battistrada al popoloso quartiere Belvedere, dopo la seconda guerra mondiale, a Sud della città, con vista Penice.
Cambiò tutto in fretta: nel 1950 la prima pietra della Santissima Trinità, e poi, proprio qui, vicino alla casa demolita, si piazzò il capolinea del tram che andava in centro, accanto alla cabina di smistamento del gas. Poche cose, brava gente, stipata negli anni Sessanta-Settanta nei primi condomini, pronti ad accogliere la grande emorragia dalle montagne, montanari in cerca di un lavoro in fabbrica: e anche via Veneto aveva la sua, l’ex scatolificio Federici, pure lui demolito a colpi di piccone nel 1978.
Oggi in via Veneto resistono pizzerie (tre in pochi metri), la pasticceria, i bar, le bomboniere, una impresa funebre, la panetteria, la macelleria equina simbolo del sabato mattina piacentino per tanti, il fruttivendolo, il negozio di articoli sportivi, un ristorante messicano, un kebab, una gastronomia napoletana e una siciliana, il fotografo, la parrucchiera, il negozio di abbigliamento, il tabacchino, e altro.
I negozi hanno aperto e chiuso seguendo la velocità ormai indecifrabile del mondo, ma dal 2007, quando l’officina di Ettore Stefanoni aperta da lui nel 1959 con due pompe di benzina sul marciapiede - ha abbassato la saracinesca, nessuno si è mai fatto avanti per quel tempio dei motori: otto anni con il cartello “vendesi”, e il piccolo roseto che ha continuato a fiorire ogni maggio sul retro, dove c’era il vecchio lavandino in pietra, nel giardino di cui restavano i cenni del vecchio campo da bocce di cui parlavano i vecchi fino a qualche decennio fa. Venerdì non ve n’è rimasta più traccia, si è fatto solo in tempo a vedere che sui muri c’erano ancora le insegne in ferro delle vecchie glorie dei motorini: la proprietà è stata infatti venduta e in quello spazio sarà costruita dalla Edilvaltidone di Pianello una palazzina residenziale di prestigio - così dice il cartello - con box auto.
Alle sue spalle, in un interno cui si accede da una stradina privata, c’è un’altra palazzina, costruita al posto di una casetta con giardino degli anni Quaranta, e un condominio di quelli, appunto, venuti su come funghi negli anni in cui Piacenza provava a sentirsi a suo agio con il vento galvanizzante del benessere, delle mode delle metropoli, del frigorifero e del termosifone. La demolizione suscita nella strada parecchi ricordi tra chi passa e fissa quella voragine che si è aperta da un giorno all’altro in via Veneto, a pochi metri da via Gadolini: «Ettore lo conoscevamo bene, tutti. Era rivenditore delle gomme marca Metzeler e mi servii di lui più volte per la mia Guzzi 850». E ancora: «Purtroppo con lui se ne sono andati poi anche tanti altri piccoli artigiani ma che erano veri specialisti per noi centauri degli anni ‘70. In quegli anni, le loro non erano solo officine, erano veri e propri salotti. Altro che social forum». Erano gli anni di Stefanoni, dei fratelli Facccini in via Dante, del “Mario”, il mago delle moto Guzzi in via Manfredi, aggiungono altri. Altri sottolineano come «finalmente non si veda più la casa ormai in rovina, c’era chi abusivamente portava i cani nel giardino per i loro bisogni...». Vero. Però i ricordi non hanno mai una data di scadenza e di rovina, e sono impossibili da demolire.