Silent Hill f: il braccio di ferro tra Stati Uniti e Giappone

In ambito horror, contaminandosi a vicenda

Francesco Toniolo
|15 giorni fa
Silent Hill f- © Libertà/Francesco Toniolo
Silent Hill f- © Libertà/Francesco Toniolo
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C’è sempre stata una forte polarizzazione, tra Stati Uniti e Giappone, quando si parla di videogiochi horror. Lo si è visto perlomeno su due grandi fronti: quello produttivo e quello delle ambientazioni. Con fortune alterne, gli sviluppatori dei due paesi si sono avvicendati nel plasmare la direzione dell’horror videoludico. E in certi casi i team giapponesi hanno volutamente realizzato prodotti ambientati negli Stati Uniti, più vicini ai gusti occidentali, per ampliare il loro mercato. Celebri serie come Resident Evil e Silent Hill si sono spesso mosse in questa direzione, proponendo storie con protagonisti americani, in (fittizie) città americane, con vicende ispirate a film americani.
Nonostante ciò, sono generalmente riuscite a mantenere anche un’impronta giapponese ben chiara. L’approccio non è nuovo e non è certo nato con questi videogiochi, comunque. Si inserisce all’interno di una lunga tradizione di soft power giapponese, che ha conquistato i mercati internazionali con prodotti dalla forte “giapponesità” ma apprezzabili anche all’estero. In tempi più recenti, un simile fenomeno si è visto sempre più spesso anche con i prodotti sudcoreani e ora anche cinesi. Un videogioco come Black Myth: Wukong del 2024 è un ottimo esempio: è fortemente legato alla tradizione cinese (è ispirato al Viaggio in Occidente, un classico della loro letteratura) ma è pensato per poter incontrare anche i gusti occidentali.
Questo scenario ci è utile per riflettere sul recente Silent Hill f, pubblicato a fine settembre. A differenza delle ambientazioni occidentali che hanno dominato i suoi predecessori, Silent Hill f è ambientato nel Giappone degli anni ’60, in una fittizia cittadina rurale. La scelta è interessante, perché in quegli anni il Giappone stava attraversando una rivoluzione culturale, con un forte contrasto tra tradizione e innovazione, tra la rigidità dei ruoli sociali e il vento di cambiamento, alimentato anche dal boom economico. Questo contrasto ha toccato anche la condizione delle donne, tema ben presente in Silent Hill f, che ci fa giocare nei panni di Shimizu Hinako, una giovane ragazza delle superiori, che vive questa situazione in un contesto periferico. E, come sempre succede, il “centro” e la “periferia” viaggiano a differenti velocità.
Tuttavia, più che sottolineare il – pur curioso – contesto storico selezionato, vorrei mettere in risalto il fatto stesso della sua scelta. La serie Silent Hill è nata guardando a Occidente, per seguire le orme del successo di Resident Evil. Cambiarne il contesto, segnalando come la serie fosse troppo occidentalizzata, non è una decisione di poco conto e merita di essere esplorata. Anche perché non è la stessa direzione presa dall’eterno avversario, Resident Evil, che ha continuato a proporre storie in larga parte ambientate in territori occidentali (o comunque non in Giappone). Forse è uno di quei casi in cui il sopra citato asse sta per spostarsi. È ancora presto per dirlo, perché è un cambiamento in corso e i videogiochi di questo calibro richiedono qualche anno per essere prodotti, ma forse i giochi usciti in altri generi hanno aiutato a fare da apripista. Sono infatti usciti diversi videogiochi di grande successo ambientati in Giappone, in questi ultimi anni. E sono stati molto apprezzati anche nei mercati occidentali, pure al di fuori della cerchia degli “otaku” nippofili. Non ci resta che attendere come evolverà il mercato.
ALLE ORIGINI DELLA SERIE: IL PRIMO SILENT HILL E IL CINEMA
Dopo l’uscita di Resident Evil (1996), il mondo dei videogiochi horror era stato positivamente scombussolato. Tantissime persone si erano appassionate (e terrorizzate) grazie alle avventure di Chris Redfield e Jill Valentine, i due agenti speciali bloccati in un’antica magione popolata da zombie e creature mutanti. L’etichetta stessa di “survival horror” che andrà a definire il genere è nata con Resident Evil.
Davanti a questo successo, altri team di sviluppatori decidono di attivarsi. Tra questi c’è Konami, un’azienda giapponese come la Capcom di Resident Evil. L’obiettivo di Konami è quello di realizzare un survival horror che possa piacere agli occidentali. Il primo Silent Hill, che vedrà la luce nel 1999, nasce in questo modo, per mano del Team Silent.
Per spaventare il pubblico statunitense, il Team Silent decide di calare l’orrore in un immaginario vicino alla quotidianità del pubblico: una vicenda familiare in una fittizia cittadina del Maine, che incarna l’archetipo della piccola città statunitense. Tanti videogiochi horror usciti fino a quel momento erano ambientato in vecchi castelli e magioni gotiche isolate nella brughiera. Resident Evil aveva fatto idealmente da ponte, proponendo una villa nel bosco ma legandola a un immaginario contemporaneo, pieno di intrighi politici ed esperimenti genetici. Poi, con Resident Evil 2 (1998), aveva portato l’orrore direttamente nel contesto urbano, ambientando il gioco nella fittizia città di Raccoon City. Parlando di parallelismi cinematografici, l’immaginario di Resident Evil è vicino ai film di George Romero, come La notte dei morti viventi (1968), mentre Silent Hill è stato talvolta accostato all’Esorcista di Friedkin del 1973, perché è uno dei primi film di successo a calare l’orrore in un contesto che non è solo urbano, ma familiare, come quello che si vede nel videogioco di Konami. L’idea è quella di prendere paure ancestrali, profonde, andando a inserirle in un contesto vicino alla quotidianità dei giocatori.
I riferimenti diretti del Team Silent, tuttavia, non sono necessariamente questi. Più che ricostruire una effettiva città, si basano sull’immagine che i giapponesi hanno di una cittadina statunitense. Non è un caso che in Silent Hill siano confluite ispirazioni tratte da film e altri prodotti audiovisivi, talvolta insospettabili, perché quelle immagini hanno contribuito a formare l’immaginario del Team Silent. Tra gli esempi più curiosi c’è sicuramente la scuola elementare che si vede in Silent Hill, modellata su quella che si vede nel film Kindergarten Cop (in italiano Un poliziotto alle elementari) del 1990, con Arnold Schwarzenegger.
Silent Hill, il film, uscito nel 2006 e diretto da Christopher Gans
Silent Hill, il film, uscito nel 2006 e diretto da Christopher Gans
Ovviamente non mancano ispirazioni più vicine all’horror. Keiichirô Toyama, a cui è stata affidata la creazione del gioco, è un grande fan di Dario Argento, di cui ha amato soprattutto Suspiria del 1977. Toyama apprezza molto anche Twin Peaks, la serie televisiva di David Lynch e Mark Frost, nota per le sue atmosfere oniriche. Un’altra ispirazione fondamentale è The Mist (La Nebbia) di Stephen King, che fornisce uno spunto utilissimo per la risoluzione di un grosso problema tecnico: come rendere accattivante la grafica del gioco, considerando i limiti tecnici del tempo. Resident Evil, il loro principale competitor, era riuscito a presentarsi con un’ottima componente grafica sfruttando inquadrature fisse e sfondi prerenderizzati: in termini semplici, significa che erano dei “trucchetti” per evitare di avere un intero ambiente tridimensionale da dover caricare e mostrare. Ma Silent Hill non avrebbe avuto inquadrature fisse, per cui decisero di risolvere il problema avvolgendo la città nella nebbia. Una soluzione di grande impatto atmosferico, che li aiutava anche ad alleggerire i caricamenti, visto che l’area di gioco non veniva mostrata tutta insieme.
Tante scelte come questa hanno plasmato il primo Silent Hill in modi talvolta inaspettati. L’anno scorso è stato anche pubblicato un libro che ne ricostruisce tutta la vicenda produttiva, partendo anche da scambi diretti con i membri del Team Silent: Keiichiro. La vera storia del team di reietti che ha inventato Silent Hill, scritto da Fabio Di Felice e pubblicato da Ledizioni. Il libro racconta la rocambolesca e talvolta fortuita serie di eventi che ha portato alla nascita del primo Silent Hill, che per molti resta comunque l’eterno secondo dell’horror videoludico dopo Resident Evil, ma per tanti altri è un capolavoro.