Da “Metal Gear Solid”a “OD-Knock”: chi è Hideo Kojima, il Maestro del videogioco contemporaneo
Con l’annuncio di due suoi nuovi titoli, intende rivoluzionare (ancora) il videogame contemporaneo
Fabrizia Malgieri
|18 giorni fa

Hideo Kojima - © Libertà/Fabrizia Malgieri
È considerato uno degli autori più influenti, ma anche più eccentrici, dell’industria videoludica. Muovendosi costantemente in bilico tra videogioco e cinema, Hideo Kojima – padre della leggendaria serie “Metal Gear Solid” – è uno dei veterani, nonché uno degli sviluppatori più importanti, che hanno dato forma e contenuto agli universi alternativi del gioco digitale nel corso di questi ultimi 40 anni.
Seppur non abbia una nutrita lista di proprietà intellettuali alle spalle – ma, esattamente come Stanley Kubrick per il cinema, ha preferito concentrarsi su un numero ristretto di opere, dando vita ad una visione originale e innovativa – l’autore nipponico è riuscito nel tempo a imprimere un’identità unica, sorprendente, innovativa alle sue produzioni, oltre ad esplorare le diverse opportunità creative che il medium videoludico è in grado di offrire. Si dice che tutto quello che Kojima tocchi si trasforma in oro: è accaduto con il genere stealth quando nel 1998 – complice il supporto di un hardware all’avanguardia, quanto meno per l’epoca, come la primissima PlayStation – decise di scuotere da dentro il videogioco d’azione più classico, dando vita al primo “Metal Gear Solid”. È vero, gli storici del videogioco e i fan più accaniti di Kojima sanno che, in realtà, il primo “Metal Gear” risale al 1987 – anno che segnò non solo l’esordio della più complessa ed enigmatica saga mai creata dall’autore, ma anche quello della sua lunga carriera nell’industry – ma è a circa 10 anni di distanza dal primo lancio che la serie gettò le basi per diventare uno dei capisaldi del videogioco action contemporaneo, il punto di partenza da cui molti sviluppatori successivi hanno attinto a piene mani. Questo anche grazie all’arrivo di motori grafici più performanti e della tecnologia 3D, che ha permesso al videogioco di uscire dalla staticità delle due dimensioni ed esplorare le sue diverse opportunità creative.
La serie non si allontana molto dai generi cinematografici più in voga negli anni Novanta: il giocatore, infatti, veste i panni di Solid Snake, un agente segreto che deve infiltrarsi all’interno di una remota struttura insulare per lo stoccaggio di armi nucleari, con l’obiettivo di neutralizzare la minaccia terroristica rappresentata da Foxhund, un’unità disertrice delle Forze Speciali Americane. Snake deve affrontare i terroristi e impedire loro di lanciare un attacco nucleare con una nuova terrificante arma segreta. La novità di “Metal Gear Solid” è rappresentata non solo dall’efficace utilizzo di meccaniche di gameplay basate sullo stealth (che impegna i giocatori a muoversi in campo nemico senza l’utilizzo letale delle armi, ma semplicemente abbattendo gli avversari muovendosi nell’ombra), ma, come detto, dalla sua forte componente cinematografica. “Metal Gear Solid”, inoltre, vanta un importante primato: è tra i primi videogiochi della storia a rompere la cosiddetta “quarta parete”, per cui si intende quell’espediente narrativo in cui un personaggio o l’autore si rivolgono direttamente al pubblico, rompendo l’illusione che lo separa dal mondo finzionale.
C’è una sequenza in particolare in cui questo avviene: uno dei villain del gioco, Psycho Mantis (il quale possiede poteri paranormali come la psicocinesi e la telepatia), si rivolge direttamente al giocatore durante uno scontro, sostenendo che è in grado di leggere nella sua “mente” e controllare ogni sua azione. Attraverso l’utilizzo della vibrazione del Dualshock e la capacità del software di “leggere” sia le mosse del giocatore sia la memoria interna alla PlayStation con i salvataggi dei diversi giochi dell’utente, Kojima fu in grado di spezzare il concetto di interazione uomo-macchina, che è alla base del medium videoludico, invertendo i ruoli: ora era il videogioco, impersonato da Psycho Mantis, ad avere il controllo sul giocatore.
E per sconfiggerlo? L’unico modo era disinibire “il controllo” del giocatore da parte del personaggio, scollegando il controller DualShock dalla porta primaria della console e collegandola a quella secondaria: solo in questo modo, Psycho Mantis non aveva alcun modo di “prevedere” in anticipo i movimenti e gli input dell’utente.
Seppur non abbia una nutrita lista di proprietà intellettuali alle spalle – ma, esattamente come Stanley Kubrick per il cinema, ha preferito concentrarsi su un numero ristretto di opere, dando vita ad una visione originale e innovativa – l’autore nipponico è riuscito nel tempo a imprimere un’identità unica, sorprendente, innovativa alle sue produzioni, oltre ad esplorare le diverse opportunità creative che il medium videoludico è in grado di offrire. Si dice che tutto quello che Kojima tocchi si trasforma in oro: è accaduto con il genere stealth quando nel 1998 – complice il supporto di un hardware all’avanguardia, quanto meno per l’epoca, come la primissima PlayStation – decise di scuotere da dentro il videogioco d’azione più classico, dando vita al primo “Metal Gear Solid”. È vero, gli storici del videogioco e i fan più accaniti di Kojima sanno che, in realtà, il primo “Metal Gear” risale al 1987 – anno che segnò non solo l’esordio della più complessa ed enigmatica saga mai creata dall’autore, ma anche quello della sua lunga carriera nell’industry – ma è a circa 10 anni di distanza dal primo lancio che la serie gettò le basi per diventare uno dei capisaldi del videogioco action contemporaneo, il punto di partenza da cui molti sviluppatori successivi hanno attinto a piene mani. Questo anche grazie all’arrivo di motori grafici più performanti e della tecnologia 3D, che ha permesso al videogioco di uscire dalla staticità delle due dimensioni ed esplorare le sue diverse opportunità creative.
La serie non si allontana molto dai generi cinematografici più in voga negli anni Novanta: il giocatore, infatti, veste i panni di Solid Snake, un agente segreto che deve infiltrarsi all’interno di una remota struttura insulare per lo stoccaggio di armi nucleari, con l’obiettivo di neutralizzare la minaccia terroristica rappresentata da Foxhund, un’unità disertrice delle Forze Speciali Americane. Snake deve affrontare i terroristi e impedire loro di lanciare un attacco nucleare con una nuova terrificante arma segreta. La novità di “Metal Gear Solid” è rappresentata non solo dall’efficace utilizzo di meccaniche di gameplay basate sullo stealth (che impegna i giocatori a muoversi in campo nemico senza l’utilizzo letale delle armi, ma semplicemente abbattendo gli avversari muovendosi nell’ombra), ma, come detto, dalla sua forte componente cinematografica. “Metal Gear Solid”, inoltre, vanta un importante primato: è tra i primi videogiochi della storia a rompere la cosiddetta “quarta parete”, per cui si intende quell’espediente narrativo in cui un personaggio o l’autore si rivolgono direttamente al pubblico, rompendo l’illusione che lo separa dal mondo finzionale.
C’è una sequenza in particolare in cui questo avviene: uno dei villain del gioco, Psycho Mantis (il quale possiede poteri paranormali come la psicocinesi e la telepatia), si rivolge direttamente al giocatore durante uno scontro, sostenendo che è in grado di leggere nella sua “mente” e controllare ogni sua azione. Attraverso l’utilizzo della vibrazione del Dualshock e la capacità del software di “leggere” sia le mosse del giocatore sia la memoria interna alla PlayStation con i salvataggi dei diversi giochi dell’utente, Kojima fu in grado di spezzare il concetto di interazione uomo-macchina, che è alla base del medium videoludico, invertendo i ruoli: ora era il videogioco, impersonato da Psycho Mantis, ad avere il controllo sul giocatore.
E per sconfiggerlo? L’unico modo era disinibire “il controllo” del giocatore da parte del personaggio, scollegando il controller DualShock dalla porta primaria della console e collegandola a quella secondaria: solo in questo modo, Psycho Mantis non aveva alcun modo di “prevedere” in anticipo i movimenti e gli input dell’utente.

Dopo aver dedicato quasi 20 anni al suo franchise più longevo, nella seconda metà degli anni Dieci del Duemila Kojima decide di esplorare nuovi scenari e nuovi generi: è la volta di “P.T.” (Playable Teaser), la demo di un’esperienza di gioco che non vedrà mai la luce (“Silent Hills”) a causa di un difficile contenzioso con Konami – l’azienda giapponese per cui lo stesso Kojima ha lavorato fino a quel momento – ma che segna anche un sodalizio straordinario con il regista Premio Oscar Guillermo del Toro e con l’attore star di “The Walking Dead”, Norman Reedus. Nonostante il mancato sviluppo di “Silent Hills”, il trio artistico – insieme ad altre star hollywoodiane, tra cui Mads Mikkelsen, Léa Seydoux, Margaret Qualley e Nicolas Winding Refn – si ritrova a lavorare su due esperienze completamente diverse da quelle precedentemente concepite da Kojima, ossia i due capitoli del franchise post-apocalittico “Death Stranding” – questa estate abbiamo parlato del secondo capitolo (“Death Stranding 2: On the Beach”) proprio qui, sulle pagine di “Libertà”.
L’originalità di questa esperienza di gioco risiede nel suo gameplay asimmetrico e nella collaborazione del giocatore, tramite connessione a internet, con gli altri utenti – un espediente che permette a Sam Porter Bridges, un corriere solitario nel mondo oscuro dopo il death stranding, di riconnettere il mondo disgregato dopo questo evento catastrofico, in cui vivi e morti sono costretti a convivere. Appena qualche giorno fa, Kojima-san ha svelato nuovi dettagli su quelli che saranno i progetti futuri da qui ai prossimi anni: l’horror “OD – Knock” e lo spy-action “Physint”. Quest’ultimo – di cui Kojima ha offerto solo qualche abbottonatissimo dettaglio in quanto il progetto è ancora in fase embrionale – sarà un’esclusiva per le console PlayStation e segna il grande ritorno dell’autore alle sue origini con un’esperienza incentrata su storie di spionaggio – e che, promette, segnerà un importante momento di congiunzione tra cinema e videogioco, reinterpretando e rimodulando il genere stealth. Diverso, invece, è “OD – Knock” che intende riprendere le fila intessute da Kojima con il genere horror, interrotto bruscamente con la fine di “Silent Hills”. A quanto si apprende, l’esperienza è in realtà un progetto piuttosto denso, che coinvolge diversi autori. “Knock”, infatti”, dovrebbe essere l’episodio diretto dallo stesso autore nipponico, che rientra all’interno di un corpus corale che vede la partecipazione anche di altri registi, tra cui Jordan Peele (“Scappa – Get Out”). In entrambi i casi, appare evidente che l’obiettivo di Hideo Kojima sia quello di ricongiungersi finalmente con il cinema, il suo grande amore dopo il videogioco – basta dare un’occhiata al suo account su Instagram, @hideo_kojima, per comprendere il suo interesse per la settima arte – e che intenda mettersi, ancora una volta, alla prova per spingersi oltre qualsiasi limite. Nonostante i suoi quasi 40 anni di irrefrenabile attività – e un’originalità senza precedenti, pari solo a quella dei grandi, grandissimi Autori.
L’originalità di questa esperienza di gioco risiede nel suo gameplay asimmetrico e nella collaborazione del giocatore, tramite connessione a internet, con gli altri utenti – un espediente che permette a Sam Porter Bridges, un corriere solitario nel mondo oscuro dopo il death stranding, di riconnettere il mondo disgregato dopo questo evento catastrofico, in cui vivi e morti sono costretti a convivere. Appena qualche giorno fa, Kojima-san ha svelato nuovi dettagli su quelli che saranno i progetti futuri da qui ai prossimi anni: l’horror “OD – Knock” e lo spy-action “Physint”. Quest’ultimo – di cui Kojima ha offerto solo qualche abbottonatissimo dettaglio in quanto il progetto è ancora in fase embrionale – sarà un’esclusiva per le console PlayStation e segna il grande ritorno dell’autore alle sue origini con un’esperienza incentrata su storie di spionaggio – e che, promette, segnerà un importante momento di congiunzione tra cinema e videogioco, reinterpretando e rimodulando il genere stealth. Diverso, invece, è “OD – Knock” che intende riprendere le fila intessute da Kojima con il genere horror, interrotto bruscamente con la fine di “Silent Hills”. A quanto si apprende, l’esperienza è in realtà un progetto piuttosto denso, che coinvolge diversi autori. “Knock”, infatti”, dovrebbe essere l’episodio diretto dallo stesso autore nipponico, che rientra all’interno di un corpus corale che vede la partecipazione anche di altri registi, tra cui Jordan Peele (“Scappa – Get Out”). In entrambi i casi, appare evidente che l’obiettivo di Hideo Kojima sia quello di ricongiungersi finalmente con il cinema, il suo grande amore dopo il videogioco – basta dare un’occhiata al suo account su Instagram, @hideo_kojima, per comprendere il suo interesse per la settima arte – e che intenda mettersi, ancora una volta, alla prova per spingersi oltre qualsiasi limite. Nonostante i suoi quasi 40 anni di irrefrenabile attività – e un’originalità senza precedenti, pari solo a quella dei grandi, grandissimi Autori.
