L'Anpi a Ventotene, dove la storia si è fatta isola

Il viaggio dei cinquanta piacentini tocca lo scoglio che parla di cisterne romane, di esiliati e confinati, di detenuti e di un Manifesto al centro dell'Europa

Elisabetta Paraboschi
June 11, 2025|15 giorni fa
I piacentini a Ventotene
I piacentini a Ventotene
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Ventotene è uno scoglio. Terra di vento secondo l’etimo, ma quando la cinquantina di piacentini del viaggio dell’Anpi Piacenza ci arriva di vento non c’è neppure un soffio. La prima destinazione sono le antiche cisterne, un complesso sistema architettato in epoca romana per raccogliere l’acqua piovana in un’isola priva di qualsiasi fonte d’acqua. Quella visitata dal gruppo è detta “dei detenuti”, anche se in tutto ne esistevano sei: si estende per circa 1200 metri quadri ed è scavata nel tufo durante l’epoca imperiale per servire Villa Giulia ossia la residenza voluta dall’imperatore Augusto per “confinare” la figlia colpevole di “condotta immorale”.
Entrare nelle cisterne, le cui pareti ancora presentano le tracce del cotto pesto con cui i romani le avevano impermeabilizzate, significa fare un salto da un secolo all’altro semplicemente muovendosi tra le gallerie: caduto l’impero romano infatti le isole sono abbandonate e a Ventotene arrivano alcuni eremiti che scavano delle edicole votive nelle cisterne. Più tardi le gallerie si trasformeranno in stalle e poi in carcere per i galeotti. La storia è scritta, disegnata, scavata nelle pareti: ecco allora una bandiera sabauda e davanti i simboli dei primi cristiani, i disegni del Settecento e le firme dell’illustratore ottocentesco Pasquale Mattei e “gli esiliati del governo liberale di Savoia” con tanto di firme di chi l’8 gennaio 1870 (nel Regno d’Italia già proclamato) decide di scrivere il suo disappunto sul muro della cisterna.
C’è poi la storia dei confinati, del Manifesto di Ventotene che quest’anno con Michele Serra è tornato al centro del dibattito politico e che sull’isola ha attirato parecchi turisti. Le effigi di  Ernesto Rossi, Eugenio Colorni e Altiero Spinelli si trovano disegnate sul muro davanti al municipio insieme al volto di Ursula Hirschmann, la donna che ha portato fuori dall’isola un rotolino di carta di sigarette su cui stava scritto il manifesto di Ventotene.
Della cittadella confinaria - un insieme di palazzi costruiti con calce e acqua di mare nel 1939 - non resta quasi nulla: i capannoni sono stati abbattuti negli anni Ottanta, dove sorgevano c’è il monumento a Giuseppe Di Vittorio, il leggendario sindacalista della Camera del Lavoro, e un muro su cui stanno scritti i nomi di tutti i confinati. Ci sono anche quelli dell’anarchico comandante della XIII Zona Emilio Canzi e di Antonio Carini, il partigiano “Orso”, piacentini - non gli unici - costretti al confino a Ventotene. Ma sempre a pochi passi c’è anche un monumento che ricorda l’affondamento della nave Santa Lucia, bombardata dagli inglesi il 24 luglio 1943. All’orizzonte ecco il penitenziario di Santo Stefano e la peschiera per l’allevamento del pesce di Villa Giulia, mentre a pochi passi un uomo sta incollando i lini delle mongolfiere che verranno fatte volare il 20 settembre in occasione della festività di santa Candida che è la patrona e che nella chiesa è ritratta in una statua con ai piedi un padre e un figlio, committenti della statua convinti di essere stati salvati dalla santa.
Ventotene è l’isola che resiste: come resistevano novant’anni fa i confinati fra le due strade che potevano percorrere, oggi resistono i librai che sono anche editori e cercano di trasmettere le infinite storie racchiuse in due chilometri e mezzo di roccia.
_Betty Paraboschi