Addio a don Olimpio Bongiorni, il prete che amava le periferie

Avrebbe compiuto 104 anni il 7 giugno. Lo ricordiamo con una delle ultime interviste a Libertà quand'era ancora a Piozzano

Redazione Online
June 5, 2025|21 giorni fa
Don Olimpio Bongiorni - © Libertà/Maria Vittoria Gazzola
Don Olimpio Bongiorni - © Libertà/Maria Vittoria Gazzola
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Tre quarti di secolo vissuti sull’altare e in mezzo alla gente, l'affetto di tutti, l'acume. È morto oggi 5 giugno don Olimpio Bongiorni, già parroco di Piozzano: il 7 giugno avrebbe compiuto 104 anni. Per ricordarlo, ripubblichiamo un'intervista raccolta un giorno prima dei suoi 99 anni, era il giugno del 2020, firmata da Maria Vittoria Gazzola.
Monsignor Olimpio Bongiorni, parroco di Piozzano dal 1985 e amministratore parrocchiale di San Gabriele e Cantone, compie 99 anni. Un traguardo considerevole con tre primati: quello di essere il prete più anziano della diocesi di Piacenza Bobbio, di essere il parroco più anziano (la pensione scatta a 68 anni e sette mesi) e quello di onorare la patente di guida su una candida Kia, con la quale si sposta per i suoi uffici di ministero sacerdotale. «Per questi primati mi merito un articolo, non credi?» ci ha detto qualche giorno fa don Bongiorni.
E soprattutto vale la pena di indagare questo ‘antico’ sacerdote, che mostra vivacità intellettuale, una straordinaria modernità e sicuramente è controcorrente verso un certo mondo clericale che stenta a lasciare le ferree norme del Concilio di Trento (1545-1563) ed i successivi dogmi.
Con gli occhi di oggi come vede il tempo di quando era seminarista?
«Lo vedo diviso su due realtà, il mondo e il seminario, indissolubilmente separati e avviati su strade diverse. Che disastro
A quali maestri si è ispirato nel corso dei suoi anni di sacerdozio?
«Grandissimo maestro è stato, ed è, per me don Giuseppe Beotti. Ma devo anche dire bene della nostra diocesi e ringraziare Dio per i santi preti che ci ha donati».
Il suo primo incarico di parroco, dal 1955 al 1985, lo aveva portato a Bore, in provincia di Parma ma diocesi di Piacenza, come sono stati?
«I tanti anni passati a Bore sono sati densi e complicati. Ricordo quando il vescovo Malchiodi mi disse: ‘Ti mando a Bore per fondare la nuova parrocchia. Vi resterai due o tre anni e poi scenderai in pianura’. Vi rimasi 30 anni. Conclusione: la mia vita da prete l’ho inquadrata in due periodi, quello di curato e quello di tras-curato».
Non tenti di sminuire il suo lavoro, sappiamo che a Bore ha costruito la chiesa…
«A Bore furono gli anni dell’operosità, realizzammo strade, chiesa, parrocchia, il monumento ai caduti, cinema, teatro, il coro e tanto altro. Era un paesello di montagna da cui le ragazze andavano a servizio nelle famiglie abbienti delle città e i giovani migravano verso Londra, in Inghilterra, a fare manovalanza e tutto ciò mi dispiaceva. Mi attivai per costruire una vera strada, alla quale tutti gli abitanti diedero il loro contribuito e io con loro, sia manualmente che in danaro».
A Settesorelle, non lontano da Bore, c’era il suo compianto amico don Piero Achilli. Insieme, avete svolto la predicazione per oltre 20 anni in più di cinquanta parrocchie. Qual era la chiave di tanto successo?
«Santi anni quelli passati con don Piero. Mi viene facile citare le parole del grande dottore della chiesa Sant’Agostino: Preferisco essere capito da un pescatore che avere l’elogio dei sapienti. La nostra amicizia è stata un disegno di Dio. Le predicazioni erano dialoghi fra noi e i fedeli e lui interpretava lo sprovveduto, era bravissimo e la gente diceva: Al fa da luc, ma lè furb».
La festa per i 90 anni di don Olimpio a Piozzano e i 65 anni di sacerdozio nel 2011 (foto Gazzola)
La festa per i 90 anni di don Olimpio a Piozzano e i 65 anni di sacerdozio nel 2011 (foto Gazzola)
È prete da 74 anni, sono tanti, non ha mai pensato alla carriera?
«Sono uomo, cristiano, e, inoltre, prete. Non sono un super uomo, anche per me la vita è quotidiana fatica, compromesso, caduta, stordimento e persino fallimento. Il mio posto è sull’altare e fra la gente e all’altare porto la mia gente con i suoi e i miei problemi. Ho sempre preferito la periferia perché mi interessava fare il parroco. A Bore, quando lasciai l’abito talare, andai a trovare una vecchietta che abitava in una frazioncina, mi guardò e mi chiese se fossi vestito da lavoro».
Lasciare la lunga tonaca nera per il più pratico clergy man, ovvero giacca e pantaloni, ha significato essere moderni?
«È stato un atto naturale, non è mica il vestito a fare il monaco. Essere moderni significa essere realisti, capire il mondo».
In questa modernità lei ci vede anche il matrimonio per i preti?
«Io non ho mai capito perché un prete non possa sposarsi, certo non è obbligato, ma va lasciato libero ed è un’idea già dentro la chiesa. È naturale».
Lei avrebbe avuto occasione per sposarsi? 
«Oh, io non mi sarei mai sposato, conoscendo il mio carattere non volevo fare vittime!»
Se ai preti fosse concesso il matrimonio vi sarebbero più sacerdoti e meno scandali, penso alla pedofilia?
«È nota la frase tramandata da sempre: la chiesa è la casta meretrix semper reformanda. E ti sarà nota la risposta della Badessa del monastero al cappellano che le faceva notare che alcune monache non erano del tutto esemplari: Che vuole reverendo, siamo tutti uomini».
A proposito di uomini e donne, si dice che la bellezza salverà il mondo, intesa come arte o come fede?
«È citatissima la frase di Dostoevskij. Nei secoli arte e fede sono state sorelle e uso queste parole del cardinale Ravasi: Oggi questo modello è incrinato, si usano talora brutte preghiere davanti a brutte immagini di Cristo in brutte chiese con brutte musiche». 
Cambiamo registro monsignore, lei ha attraversato 6 pontefici, non le chiediamo una classifica, ma a suo parere cosa hanno lasciato?
«Tutti grandi, ciascuno per propria virtù e per carisma. Papa Giovanni, il papa buono, è stato straordinario per aver promosso un Concilio, il Vaticano II, alla sua età. Uno spartiacque benché non ancora completamente messo in pratica. E poi papa Francesco, che incarna la povertà, che non vuol dire miseria. Lui ha abbandonato il Palazzo. E penso al grandissimo gesto della telefonata alla sorella di don Paolo Camminati morto a causa del Coronavirus. Un gesto commovente, toccante, ha trovato il modo di consolare la famiglia. Un gesto straordinario! Di papa Francesco mi piace anche l’umorismo e la sua esortazione a sorridere. Il 6 luglio 2013 ripeteva: ma per favore, mai suore, mai preti con la faccia di peperoncino in aceto, mai».
Monsignore, ha ancora dei sogni? 
«Uno, in particolare, ha accompagnato la mia lunga esistenza: la Beatificazione del servo di Dio don Giuseppe Beotti. Con quanto amoroso e fraterno impegno accompagnò me (suo cugino) negli anni in cui maturò la mia vocazione al sacerdozio. Più volte il nostro amato vescovo Ambrosio ha definito don Beotti perla del clero piacentino. L’altro sogno è la vita. Sentiamo spesso ripetere che la vita non vale niente. Io ritengo, invece, che niente vale come la vita. È la scoperta di un ‘niente’ che ha più valore di ogni altra cosa. Ricordo con gratitudine la sagge parole del carissimo cardinale Tonini ( morto a 99 anni ndc): La vita è bella a dieci come a cento anni, se concepita come slancio verso il futuro e non come fardello da portare sulle spalle».  
 Sentiamo spesso ripetere che la vita non vale niente. Io ritengo, invece, che niente vale come la vita"
Don Olimpio Bongiorni