Negozi, scatta l'allarme: "Affitti cari, soffre anche la periferia"

«Resta il dubbio che anche le pretese dei proprietari in certi casi siano alte e andrebbero ridimensionate alla luce della situazione attuale».

Elisabetta Paraboschi
|42 giorni fa
Negozi, scatta l'allarme: "Affitti cari, soffre anche la periferia"
3 MIN DI LETTURA
Arriva il deserto, commercialmente parlando. Ma il caro affitti incide? E se sì, quanto? Per il direttore di Confcommercio Piacenza Gianluca Barbieri «la desertificazione è collegata quasi automaticamente al problema degli affitti che risultano poco sostenibili per i commercianti. Questo è tanto più vero quando ci si avvicina al centro storico e avviene a Piacenza, ma non solo».
Insieme al presidente di Fimaa (Federazione Italiana Mediatori Agenti Affari) Confcommercio Giuseppe Rivetti, Barbieri ridisegna la mappa di Piacenza attraverso una chiave di lettura particolare: il costo di un metro cubo commerciale.
LA MAPPA DEL CARO AFFITTI A PIACENZA
«Come è ovvio immaginare, i prezzi più alti li troviamo in via XX Settembre, piazza Cavalli nella parte dei portici e nel tratto di corso Vittorio Emanuele che dalla piazza arriva fino alla chiesa di Santa Teresa – spiegano Rivetti e Barbieri – variano fra 300 e 500 euro a metro quadro su base annua: vuol dire che per un negozio di 100 metri quadri si pagano dai 30 mila ai 50 mila euro. In via Cavour, nella parte più vicina alla piazza, non si va oltre i 200 euro a metro quadro, mentre in via Calzolai ci si attesta sui 100-150 euro».
E le altre strade? «In alcuni casi il cambiamento delle viabilità pedonali ha fatto in modo che alcune vie non siano più frequentate come prima – aggiungono – pensiamo a via Legnano in cui effettivamente il transito pedonale è fortemente diminuito e di conseguenza anche le attività si sono drasticamente ridotte. Altre zone in cui il passaggio pedonale si è rarefatto sono via Sant’Antonino e corso Garibaldi a causa della Ztl e anche via Scalabrini: è chiaro che indietro non si può tornare, ma gli effetti sono stati questi. Anche altre zone del centro dal punto di vista commerciale non risultano particolarmente appetibili: via San Siro ad esempio, tutte le gallerie come quella di San Donnino o quella in fondo al corso».
Spostandosi dal centro, Rivetti sottolinea come «in periferia le strade più ricercate siano quelle con un buon traffico veicolare e possibilità di parcheggi: ad esempio in via Manfredi, via Martiri della Resistenza e via Farnesiana un negozio può arrivare a costare anche 200 euro a metro quadro. In altre zone i prezzi variano da 50 a 150 euro. Viale Dante ad esempio registra un calo di interesse da un punto di vista commerciale. Tutte le vie laterali invece non hanno un reale valore commerciale e a rimanere sono le attività altamente specializzate».
«Resta il dubbio – abbozza Barbieri – che anche le pretese dei proprietari in certi casi siano alte e andrebbero ridimensionate alla luce della situazione attuale».
«Sulla desertificazione commerciale dei negozi di vicinato incide poco. O meglio pesano di più la concorrenza dell’online e della grande distribuzione» fa presente Fabrizio Samuelli, direttore di Confesercenti Piacenza: «Il canone è un problema per il commerciante perché è un costo fisso come lo sono le utenze – spiega – ma è chiaro che è un costo ammortizzabile se si riescono a intercettare i consumatori, la clientela. Pesa molto di più la concorrenza del commercio online fatta da grandi realtà con cui è impossibile rivaleggiare».
Samuelli parla di «una partita che deve avere alleati»: «Da una parte c’è la fortissima tassazione a cui sono sottoposti i proprietari degli immobili commerciali che non possono applicare la cedolare secca – spiega – dall’altra ci sono i commercianti su cui gravano costi fissi molto pesanti. Entrambi hanno la necessità di avere un utile dal loro bene o dalla loro attività: è un equilibrio difficile e per questo dico che occorre essere alleati piuttosto che nemici in questa battaglia per far capire alla politica i bisogni di tutti gli attori in gioco». Anche il direttore di Confesercenti punta il dito contro la mancata applicazione della cedolare secca agli immobili commerciali: «È la madre del problema» la definisce.
LA POSIZIONE DI CONFEDILIZIA
Per Antonino Coppolino, presidente dell'Associazione Proprietari Casa-Confedilizia di Piacenza, uno dei problemi maggiori sta nella legge, la 392 del 1978, che ancora disciplina le locazioni commerciali in Italia, stabilendo una durata minima di sei anni per i contratti e un meccanismo di rinnovo automatico di altri 6 anni (un "6+6").
«Ci troviamo davanti a una norma ormai obsoleta – spiega – che ingessa i rapporti obbligando a fare i contratti 6+6 che invogliano poco sia i proprietari sia i titolari di attività commerciali. Come Confedilizia da tempo riteniamo che una riforma della legge sia necessaria, ma purtroppo ci scontriamo con le associazioni di categoria che, a livello nazionale intendo e non locale, non sembrano d’accordo».
Per Coppolino la questione del caro affitti porta alla luce due problemi sostanziali: il primo è appunto la mancata riforma della legge 392 del 1978, il secondo invece è l’assenza di una leva fiscale unita all’applicazione della cedolare secca agli immobili commerciali.
«Probabilmente nella nuova finanziaria si riuscirà ad applicare anche agli affitti commerciali grazie a Confedilizia – spiega – e questo sarebbe già un buon risultato».
«Ma al di là di questo – avverte Coppolino – ci sono alcuni punti su cui la leva fiscale potrebbe intervenire, ad esempio l’imu: nel comune di Castellarquato il pagamento dell’imu viene annullato per chi inizia un’attività commerciale. È un segnale significativo: non si pretende che tutti i comuni rinuncino in toto all’imu, tuttavia un’agevolazione potrebbe dare dei risultati importanti».