"Aemilia", l'indagine partita da Piacenza

Su Rai2 documentario sulla più grande inchiesta relativa alla presenza della 'ndrangheta nel Nord Italia

Thomas Trenchi
May 24, 2025|32 giorni fa
"Aemilia", l'indagine partita da Piacenza
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Un’aula bunker costruita appositamente. Duecentoventi imputati. Un processo monumentale celebrato nel cuore dell’Emilia. È "Aemilia", la maxi inchiesta che ha rivelato il volto della ’ndrangheta al Nord, in particolare nel Reggiano, ma con radici che affondano anche nel Piacentino. A raccontarla è «Aemilia 220, la mafia sulle rive del Po», il documentario andato in onda venerdì sera su Rai2, con la regia di Claudio Canepari e Giuseppe Ghinami, prodotto da Fidelio srl per Rai Fiction. Le voci narranti sono quelle dei giornalisti Paolo Bonacini e Giovanni Tizian, che hanno seguito dall’inizio le indagini e il processo.
Tutto comincia a Piacenza. «Pensavo di essere arrivato in un contesto tranquillo e con una grande coesione sociale, non mi aspettavo di trovare una situazione del genere», racconta il tenente colonnello Andrea Leo, comandante dei carabinieri di Fiorenzuola nel 2011. È in questa pianura, dove l’idea stessa di criminalità organizzata sembrava lontana, che si insedia un gruppo di calabresi con affari in droga, estorsioni e intimidazioni. «A cavallo tra il 2010 e il 2011 iniziamo a osservare questi personaggi - prosegue Leo - e ci rendiamo conto che il luogo in cui si incontravano quotidianamente è un bar a Castelvetro».
Il 26 marzo 2011, i militari vedono arrivare un’auto. A bordo c’è una figura di spicco. «Tutti sono andati da lui a riceverlo e ad accoglierlo», ricorda Camillo Calì, comandante del Nucleo operativo radiomobile di Fiorenzuola. «A quel punto decidiamo di identificare i presenti, facendoli fermare da una pattuglia dei carabinieri come in un normale controllo del territorio», aggiunge Leo. L’uomo è Romolo Villirillo, residente a Cutro, in provincia di Crotone. «Era difficile poterlo seguire, perché prenotava i voli anche mezz’ora prima – continua Leo – e andava a Piacenza, Castelvetro, Parma e Reggio Emilia».
In poche settimane i carabinieri mappano la rete dei suoi contatti: imprenditori provenienti da Cutro, perlopiù attivi nel Reggiano. Villirillo ha un ruolo chiave: reinveste il denaro della cosca e tratta affari in Emilia. Il 28 maggio 2011 lo seguono fino a Roma, dove lo sorprendono al Policlinico Gemelli, a colloquio con Nicola Grande Aracri, boss della ’ndrangheta. Ma l’indagine subisce una frenata: i carabinieri di Crotone, ignari del lavoro dei colleghi emiliani, arrestano Villirillo per minacce a un direttore di banca.
Intanto, un’altra pista si apre con l’affiliato Antonio Gualtieri. Seguendolo, i carabinieri di Fiorenzuola intercettano ancora Grande Aracri. «Noi, da piccola compagnia dei carabinieri di provincia, sentiamo il boss che sale in macchina e parla con lui», racconta Calì.
Nel frattempo, un’esplosione colpisce l’Agenzia delle Entrate di Sassuolo. È il secondo fronte dell’indagine, seguito dai carabinieri di Modena e dalla Dda di Bologna. Dopo quattro anni e oltre 700mila ore di intercettazioni, il blitz scatta il 28 gennaio 2015: 110 arresti, 220 indagati. È il più grande processo alla mafia calabrese mai celebrato fuori dal Sud.