Gino il tombino fa troppo chiasso, protesta in via Don Minzoni
Una sedia dove ascoltare "poesia di strada": l'idea di due abitanti esasperati. «Da tre anni viviamo col rumore nelle orecchie ad ogni passaggio di auto»
Filippo Lezoli
June 19, 2025|7 giorni fa

La sedia collocata in via Don Minzoni per protestare contro il tombino chiassoso ad ogni passaggio di auto © Libertà/Filippo Lezoli
Gino il tombino canta sempre la stessa canzone: Tic Tac…Tic Toc. In via Don Minzoni anche i tombini stradali fanno discutere, tanto che a uno di questi, particolarmente chiassoso ad ogni passaggio di automobile, è stato affibbiato il nome Gino. Ma la fantasia è corsa oltre, dal 18 giugno sul marciapiede è comparso un seggiolino giallo, autentica poltrona d’onore per le autorità, da dove ascoltare “poesia di strada”, con tanto di date del tabellone estivo e versi in dialetto, perché Gino recita e canta anche in vernacolo. L’idea è venuta ai fratelli Elena e Paolo Favari, che si fanno portavoce di chi abita in zona. Un’idea scherzosa sì, ma che è figlia dell’esasperazione.

«Da tre anni viviamo ormai con questo rumore nelle orecchie» dicono i due fratelli, che hanno l’attività di famiglia e le abitazioni vicino al tratto di via Don Minzoni in cui si trova il tombino. Prima di attirare l’attenzione strappando un sorriso, hanno provato a più riprese a contattare il Comune perché il problema si risolvesse. «Abbiamo chiamato la segreteria del sindaco - dicono - poi i vigili urbani. La risposta è sempre stata la stessa, che sarebbero intervenuti appena possibile. Ma nessuno ha fatto poi nulla». Nel frattempo, chissà, forse per emulazione, hanno cominciato a “cantare” anche un paio di tombini dall’altra parte della strada.
«Anche in questo caso non si è mossa una foglia» dicono i fratelli Favari, che non si sono però dati per vinti, inviando il 10 giugno una nuova segnalazione urgente al Comune, scrivendo fra l’altro: «Se neppure le segnalazioni della polizia municipale vengono ascoltate, viene da chiedersi quale sia il peso delle nostre voci di semplici cittadini».
In sintesi: quello che chiamano «il diritto al riposo e al silenzio» è ancora oggi ostaggio dal “canto” - o lamento? - di Gino il tombino. «Non dormo più nella mia camera da letto - dice Elena Favari - mi sono dovuta spostare in una stanza lontana dalla strada». «Anche lavorare in laboratorio è diventato a tratti insopportabile» aggiunge il fratello Paolo. Come ultimo tentativo hanno quindi allestito il teatro di cui si è detto, con tanto di “poltroncina” gialla, dove ieri si fermavamo i passanti incuriositi per leggere i cartelli. Chissà che un po’ d’ironia non riesca dove altri mezzi maggiormente seriosi (lettere, segnalazioni, telefonate in Comune…) hanno fallito.