L’addio di Gigi al football giocato. «Per me questo sport è amore»

Costretto a fermarsi per regolamento, Luigi De Pasquale non smette di combattere: «Lo sport è la mia libertà, continuerò ad allenarmi»

Marcello Tassi
Marcello Tassi
|112 giorni fa
L’addio di Gigi al football giocato. «Per me questo sport è amore»
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Il casco è lì, stretto tra le manone di Luigi De Pasquale. Nero, graffiato, vissuto. Un oggetto che sembra urlare battaglia, che porta addosso i segni di mille scontri, placcaggi e cadute. «Questo casco ha preso più botte di me», sorride Gigi, mentre ci parla seduto sul campo che ha amato per una vita, ancora in “divisa”, come un gladiatore che non intende abbandonare l’arena. Le spalle, rese ancora più imponenti dalla pesante armatura da football americano, portano con sé 48 primavere. E proprio quelle 48 primavere, secondo il regolamento federale, gli impongono di dire addio al football giocato. Ma lui, di smettere davvero, non ne ha alcuna intenzione.
«Non ho mai saltato una partita in tutti questi anni, forse qualche allenamento per un’operazione al naso... sapete, qui si danno e si prendono delle botte! Scherzi a parte, sempre presente, anche con costole incrinate o dita spiegazzate. Per me il football è un amore. Mettere l’armatura, andare in campo tutti insieme, è come essere cavalieri medievali. Si combatte, si soffre e si gioisce insieme. Emozioni così non le trovi da nessun’altra parte».
Gigi è nato nel 1977 in Germania, mamma tedesca e papà italiano. Quando è arrivato a Piacenza ha subito trovato casa nel football: prima con i Cinghiali nel 2011, poi con i Wolverines, nati nel 2014 dopo il fallimento della vecchia società. Ha giocato in difesa come noseguard, poi dal 2015 è diventato centro, il primo a toccare il pallone in ogni azione. Una responsabilità, ma anche un privilegio.
«Almeno altri due anni li avrei fatti. Ma la federazione impone un limite di età e per me l’orologio ha suonato. Fine della musica. Mi dispiace, perché mi sento in forma, riesco ancora a stare in campo alla grande. Però non mollo: continuo ad allenarmi, voglio essere utile alla squadra, ai ragazzi. Ci vogliono “sacconi” durante gli allenamenti e io ci sono».
Gli occhi si illuminano ogni volta che parla di football. Lo fa con la voce spezzata quando torna al momento più duro: «Ho pianto solo due volte nella mia vita. Quando mio padre se n’è andato e quando l’arbitro ha fischiato la fine della mia ultima partita. Era la fine di tutto. Ma anche la conferma che ho dato tutto quello che potevo».
L’ultima stagione è stata speciale, intensa, vissuta con il peso della fine imminente. I Wolverines si sono fermati in semifinale playoff, lontani dallo scudetto tanto sognato. Ma Gigi ha comunque lasciato un’impronta profonda, premiata con l’ingresso nella Hall of Fame del football piacentino e una foto firmata da tutti i compagni. Un gesto semplice, ma pieno d’amore.
E adesso? Gigione non si ferma. C’è la muay thai, la leggendaria boxe thailandese, l’altro grande amore che continua a praticare con la stessa passione e la stessa disciplina. «La muay thai è come il football: richiede rispetto, impegno, cuore. Sport per me è vita, è libertà. Ti fa stare bene, nel corpo e nello spirito. Ho scelto due sport duri, ma non potrei fare altrimenti. Sono amori, prima di tutto».
Gigi ha il fisico di un guerriero, ma il cuore è tenero. E il casco segnato, quello che stringe ancora con forza tra le mani, resta il simbolo perfetto di ciò che è stato: un combattente, un compagno, un esempio. Anche i giganti buoni piangono. Ma non si fermano mai.