Nella "casa" dei neofascisti: «Nonno partigiano, io nella Rsi»
Viaggio nella sede di Casapound a Piacenza; un pub che si chiama La Scure e serve drink tra "santini" del Duce. Ottanta tesserati, raccolta firme per la remigrazione
Thomas Trenchi
June 16, 2025|9 giorni fa

Alcuni componenti del circolo La Scure - © Libertà/Thomas Trenchi
Non ha un’insegna, né una vetrina illuminata. Da fuori sembra un locale abbandonato. In realtà, è la sede di Casapound a Piacenza, dietro il nome del circolo “La Scure” – lo stesso che il regime fascista impose al quotidiano Libertà durante il Ventennio. Un richiamo esplicito, come i simboli e le parole che animano i giovani militanti al suo interno.
Ci accolgono Pietro Pavesi, 30 anni, responsabile regionale del movimento, Manuel Radaelli (29), referente provinciale, e altri attivisti: tutti sotto i 30 anni. «Con il nome “La Scure” ci riallacciamo a una tradizione che sentiamo nostra, magari non del tutto, quella di Bernardo Barbiellini Amidei» spiega Pavesi. Quel nome - giornalista e gerarca fascista - campeggia in una sede dove non mancano ritratti di Mussolini, bandiere di Hezbollah, un vessillo ucraino con una Madonna armata e simboli dell’Afrikakorps, divisione del Terzo Reich. Alcuni dettagli richiamano appunto il nazismo: la maglietta col numero 88 (codice per “Heil Hitler”), teschi simili a quelli delle SS Totenkopf e testi revisionisti nella biblioteca militante.

«Non abbiamo alcuna continuità con la Resistenza. Ci saremmo schierati dall’altra parte» dice Pavesi. Ma ammette: «Alcuni miei parenti furono partigiani, infatti mio padre non ha mai condiviso le mie scelte. Ma la loro fu una decisione di pancia. Io avrei combattuto nella Rsi». Tuttavia, promettono rispetto: «Non faremo mai contromanifestazioni verso i compagni caduti».
Il saluto romano? «Sì, è un rito. Lo usiamo solo in contesti commemorativi». E sulle leggi razziali? «Condanniamo le leggi razziali e la visione razzista. All’epoca, comunque, molti Stati occidentali avevano legislazioni simili. Diverso il progetto sociale del fascismo: portò l’Italia a diventare una potenza».

Il circolo, aperto dal 2023, è aperto al pubblico il venerdì sera, mentre il mercoledì è riservato alle riunioni interne. «Abbiamo circa ottanta tesserati» racconta Pavesi. «Nonostante la censura sui social, abbiamo visto una crescita. La città ha risposto bene alle nostre iniziative». Radaelli aggiunge: «Siamo presenti in strada, questo ci ha permesso di mantenere contatto con la base nonostante i limiti online».

Tra i temi chiave: immigrazione, sicurezza urbana e politiche abitative. «Il governo Meloni è tiepido» accusa Radaelli. «Stiamo raccogliendo firme per la remigrazione: espulsione dei clandestini e rimpatrio volontario delle seconde generazioni. Non si tratta di cacciarli, ma di fermare l’emigrazione. Se si investe nei Paesi d’origine, ne beneficiano tutti».

A Piacenza, puntano il dito contro il modello della logistica: «Favorisce immigrazione e precarietà» dice Pavesi. E sui quartieri critici della città, Radaelli afferma: «Via Roma, via Colombo, viale Dante: zone in mano alle bande. Non siamo contro il singolo marocchino, ma ce l’abbiamo con un sistema che lo schiavizza e lo lascia allo sbando». Anche la politica locale è nel radar. Pavesi precisa: «Abbiamo contatti frequenti con Sara Soresi, capogruppo FdI in consiglio comunale. Non c’è un’alleanza strutturata, ma condividiamo molte battaglie».
A livello economico: «Siamo contro le privatizzazioni. Lo Stato deve controllare trasporti, infrastrutture e telecomunicazioni» sostiene Radaelli. E sui modelli di riferimento, Pavesi non ha dubbi: «Dopo Mussolini, senz’altro Almirante, anche se non condivido alcune sue scelte. A livello internazionale, alcune posizioni di Orban ci interessano, anche se resta nel solco del liberalismo che non condividiamo. Trump? Certe sue parole forti ci hanno colpito, altre molto meno».