Il filosofo Andrea Zhok: «La “tecnoscienza” organizza il reale»

Nell'incontro "Dalla scienza alla distopia: forme di controllo nella società neoliberista" alla Cooperativa Infrangibile

Irene La Ferla
June 10, 2025|15 giorni fa
Un momento dell'incontro © Libertà/Irene La Ferla
Un momento dell'incontro © Libertà/Irene La Ferla
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L’altra sera, presso la Cooperativa Popolare Infrangibile di Piacenza, si è tenuto l’incontro “Dalla scienza alla distopia: forme di controllo nella società neoliberista”, organizzato dal Collettivo 26x1, da poco nato, che si prefigge di organizzare eventi e incontri per stimolare il pensiero critico.
Protagonista della serata, in una sala gremita, è stato il filosofo Andrea Zhok, professore di Filosofia morale e Antropologia filosofica all’Università degli Studi di Milano, autore di numerose opere che spaziano, con metodo fenomenologico, dall’etica, fino alla critica della razionalità liberale. Tra le sue opere più recenti: “Critica della ragione liberale” (2020) e “Il senso dei valori. Fenomenologia, etica e politica” (2024).
Il fulcro della riflessione proposta da Zhok è stato il ruolo della scienza moderna nella società contemporanea, intesa come applicazione tecnica del sapere scientifico, sempre più intrecciata con le dinamiche del potere politico ed economico. Secondo il filosofo, questi processi hanno portato a ciò che lui definisce “tecnoscienza”: non più uno strumento neutro di conoscenza, ma un dispositivo che organizza il reale, sostituendo l’orizzonte filosofico come guida della nostra comprensione del mondo.
Zhok ha ripercorso la genesi della scienza moderna a partire da Galileo: inizialmente, essa non aveva la pretesa di sostituirsi ad altre forme di sapere, né di imporsi come criterio assoluto di verità. Oggi, però, assistiamo a un rovesciamento: la tecnoscienza viene impiegata come legittimazione ideologica delle decisioni politiche, diventando un nuovo principio d’autorità. La formula “lo dice la scienza” – spesso utilizzata per porre fine a ogni dibattito – maschera, secondo Zhok, una dinamica retorica che elude il confronto critico e riduce il sapere a strumento di controllo, la scienza moderna è metodo, metodo che fa della “miopia” e specializzazione il suo punto di forza ma al contempo il suo punto debole. La scienza moderna, secondo il filosofo è materia da maneggiare con molta attenzione.
Folto pubblico all'incontro
Folto pubblico all'incontro

Un altro punto chiave dell’intervento è stato il processo di frammentazione del sapere. La scienza moderna ha disgregato la sua visione sintetica e unitaria, sostituendola con una moltiplicazione specialistica: chimica, fisica, biologia, neuroscienze. Questo ha prodotto una crescente difficoltà a comprendere il mondo nella sua totalità. Ciò che promette emancipazione si trasforma in una nuova forma di dominio, in cui l’essere umano è ridotto a oggetto di calcolo, gestione e ottimizzazione.
Una deriva che trova piena espressione nella società neoliberista, dove anche la scienza è soggetta a logiche di mercato e capitalizzazione. Zhok ha denunciato con forza il modo in cui la ricerca scientifica viene oggi orientata da interessi privati: l’esempio più lampante è quello delle industrie farmaceutiche, che investono nella cronicizzazione della malattia piuttosto che nella prevenzione, poiché solo la prima garantisce rendimenti economici costanti.
La riflessione si è estesa anche alle ricadute geopolitiche di questa deriva. Un esempio emblematico è rappresentato dal ruolo della tecnologia militare nei conflitti contemporanei: il caso della Palestina è, in questo senso, tragico. Qui, la superiorità scientifica e tecnologica di Israele – sostenuta da un’industria bellica all’avanguardia – si traduce in un potere distruttivo asimmetrico che colpisce in modo devastante la popolazione civile.
In conclusione, Zhok ha invitato a riscoprire il ruolo critico della filosofia, come pratica pedagogica capace di interrogare i presupposti impliciti del nostro tempo. La filosofia può aiutarci a preservare e coltivare un atteggiamento critico, restituendo profondità alla nostra esperienza del reale. Per farlo, è necessario tornare a porre domande fondamentali e coraggiose sul senso dell’esistenza, sull’idea di libertà, sul rapporto tra sapere e potere.