Indecenza all’italiana, qui rivive l’epoca d’oro del cinema softcore

Il successo dei film di Tinto Brass scatena i bassi istinti di registi e produttori. La censura arretra e si scivola ai limiti dell’hard

Michele Borghi
Michele Borghi
|50 giorni fa
Indecenza all’italiana, qui rivive l’epoca d’oro del cinema softcore
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Vedevamo nudo dappertutto. È stato un autentico circolo vizioso quello innescatosi negli anni Ottanta tra cinema, tv, edicole e videoteche. Non che i film italiani usciti poco prima fossero avari di situazioni scabrose, anzi.  Ma ad accendere i pruriti sarà Tinto Brass, nell’autunno 1983.
Nelle sale esce “La chiave”, scoppia lo scandalo. Il regista veneziano spoglia la burrosa Stefania Sandrelli e manda in tilt il boxoffice, inaugurando il filone softcore che i produttori spolperanno – fino ad esaurimento – nel giro di un decennio.
E’ il trionfo del “vedo e non vedo” artistico, dell’eros patinato, in complementare contrapposizione alla crescente povertà di mezzi delle luci rosse. In pratica, succede un bordello. Il porno in sala tira ancora nonostante il boom delle vhs, le tv libere si convertono al sexy.
Il termometro del successo del porno soft arriva dai giornaletti come “Blitz” o “Gin Fizz”. Ma anche l’autorevole e popolare mensile “Ciak” non disdegna articoli e foto dedicati alle nuove dive Serena Grandi (dopo “Miranda” nudissima pure ne “La signora della notte” e in “Desiderando Giulia”) e - dalla Francia con ardore - Florence Guérin (“Profumo”, “La bonne”).
Intanto, a Piacenza, le locandine del cinema Plaza fanno sognare. E non vi dico Bologna, via Amendola e dintorni, cuore pulsante del noleggio pellicole.
Un florilegio di seni e glutei, più Cinepoppe che Cinepop. Beata indecenza!
Se il maestro Tinto indica la via maestra, subito arrivano gli epigoni. Joe D’Amato (al secolo Aristide Massaccesi) lo rincorre centrando il trittico “L’ alcova”, “Il piacere” e “Lussuria” tra l’85 e l’86. La lista delle pellicole softcore si allunga stagione dopo stagione, ringalluzzita dal successo di “9 settimane e ½” (1986) e dalla riedizione di “Ultimo tango a Parigi” che, salvato dal rogo, nel 1987 torna al cinema e l’anno dopo passa su Canale 5.
L'invasione delle sexy locandine anche a Piacenza
L'invasione delle sexy locandine anche a Piacenza
Gran fermento anche sul fronte delle attrici desnude. Dopo “La chiave”, Sandrelli ci riprova con “Una donna allo specchio”. Lilli Carati diventa musa di D’Amato prima dell’incauto salto nell’hard. Monica Guerritore spogliata da Gabriele Lavia (“Scandalosa Gilda” e “Sensi”) si concede pure all’obbiettivo di Salvatore Samperi nel morboso “Fotografando Patrizia”. Lo stesso regista padovano, firmando “La bonne”, regala agli spettatori uno dei titoli più intriganti (pare dovesse essere ancora più spinto, maledetta commissione di censura!).
In zona VM18 approda persino un maestro come Mauro Bolognini che manda in soffitta ogni pruderie con “La venexiana” (1985) arruolando sia Laura Antonelli sia la Guerritore… Idem Giuseppe Patroni Griffi con “La gabbia” (1985), sempre con Antonelli e soprattutto con le sorelline spagnole Blanca e Cristina Marsillach.
Per Blanca, tra l’altro, il maestro dell’horror Lucio Fulci tradisce i suoi adorati zombi e pesca nel torbido con “Il miele del diavolo”. Il già citato D’Amato invece vede “9 settimane e ½” e lo rifà con “Eleven days, eleven nights – 11 giorni, 11 notti” (1986), mentre la rossa Tinì Cansino per “Delizia” si sfila il succinto costume da ragazza fast food del “Drive In”.
Nei primi anni ’90 il solito monello Brass riapre i casini e con “Paprika” scopre in tutti i sensi Debora Caprioglio. Ai limiti dell’hard.
Ma l’autentico film-evento risale al 1987 e in realtà è un giallo realizzato da Lamberto Bava. Con “Le foto di Gioia” il maestro del thriller ingrana la quinta e spoglia in un colpo solo Serena Grandi e Sabrina Salerno in piena carriera italo-disco. E qui, vi assicuro, sono fuochi d’artificio.
LA GALLERIA DI LOCANDINE: