Alla ricerca di batteri buoni, contro gli inquinanti e a favore delle piante
Team in Cattolica studia microrganismi e suolo. La scoperta: venti ceppi batterici in grado di mangiare i pericolosi Pfas resistenti al degrado
Leonardo Chiavarini
July 22, 2025|4 giorni fa

Il professor Edoardo Puglisi
Non tutti i microrganismi sono pericolosi; anzi, molti di loro possono contribuire in positivo alla salute dell’uomo e dell’ambiente. Nel campus piacentino dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, un gruppo di ricercatori è costantemente a caccia di questi batteri buoni con la volontà di impiegarli in due ambiti: il contrasto all’inquinamento e il progresso del settore agricolo. Di recente, inoltre, proprio l’equipe coordinata da Edoardo Puglisi, professore ordinario di Microbiologia agraria, è giunta a compiere un passo significativo contro l’inquinamento da PFAS. In un suolo contaminato del Veneto, sono stati infatti isolati ben 20 ceppi batterici capaci di degradare questi composti, noti anche come “inquinanti eterni”.
«La pandemia da Covid19 ha messo in luce gli aspetti più nocivi dei microrganismi – afferma il professor Puglisi – ma in realtà delle milioni di specie batteriche e fungine presenti in natura, i patogeni sono solo poche centinaia. Molti microrganismi hanno un impatto più che positivo sulla vita e, in certi casi, sono assolutamente indispensabili».
Gli interessi di ricerca del professor Puglisi e del suo gruppo si concentrano sulle interazioni tra microrganismi e composti chimici nell’ambiente, con particolare attenzione all’ecologia e alle basi genetiche della biodegradazione degli xenobiotici, allo sviluppo di indicatori biochimici e microbiologici della qualità del suolo, e alla valutazione delle interazioni tra piante e organismi nella rizosfera. Negli ultimi anni, la ricerca si è concentrata sulla valutazione dell’ecologia microbica di diversi ambienti, dai suoli contaminati ai rifiuti plastici e agli alimenti fermentati. Un impegno particolare attuato da Puglisi e dal suo team è dedicato all’isolamento e all’identificazione di ceppi microbici con potenziali applicazioni biotecnologiche. «Nel corso dei miei anni di studio e ricerca – spiega il professore – mi sono interessato a capire l’impatto che hanno gli inquinanti sul suolo e, allo stesso tempo, a ricercare delle soluzioni attuabili». Queste soluzioni avrebbero proprio a che fare con i microrganismi. Alcuni di loro, infatti, sono in grado di “mangiare” gli agenti inquinanti. «Siamo un po’ come cacciatori di microrganismi buoni – dice Puglisi –. In un campione di suolo grande quanto un cucchiaino di caffè ci sono miliardi di batteri – spiega –. E andando ad analizzare suoli contaminati, è probabile scoprire batteri che abbiano capito come adattarsi e nutrirsi di agenti inquinanti. In sostanza, il nostro obiettivo è quello di trovare questi batteri utili, isolarli e poi applicarli».
Significativa in tal senso proprio l’ultima ricerca attuata da Puglisi e dal suo team su un suolo contaminato dai PFAS, in Veneto. I PFAS, ovvero le sostanze perfluoroalchiliche, sono una vasta famiglia di composti chimici ampiamente utilizzati in tanti prodotti industriali e di consumo, in virtù della loro resistenza a grassi, acqua e alte temperature. Tuttavia, queste sostanze, che si possono trovare negli imballaggi alimentari, nei tessuti e persino in alcuni farmaci e cosmetici, sono considerate persistenti e possono dunque restare a lungo nell’ambiente e nel corpo umano, creando danni spesso sottovalutati. «Il terreno del sito Veneto – spiega il professore – è stato interessato per anni da uno sversamento continuo di queste sostanze. I PFAS, in generale, sono in grado di penetrare ovunque: nel suolo, nelle acque, nelle piante. Su questi terreni inquinati, abbiamo così condotto uno studio in collaborazione con il gruppo coordinato dal professor Giancarlo Renella dell’Università di Padova. I campioni di suolo prelevati – continua Puglisi – hanno subito una specifica procedura, chiamata arricchimento, la quale ci ha permesso di scovare circa venti ceppi batterici in grado di poter vivere nutrendosi proprio dei PFAS». La ricerca può avere un impatto importante e benefico: la speranza, infatti, è quella di riuscire un domani ad impiegare i microrganismi per la bonifica dei siti compromessi dagli “inquinanti eterni”. «La nomea che precede i PFAS fa capire quanto possano essere persistenti – spiega il professore – ma in natura nulla è eterno e, prima o poi, batteri e funghi imparano a degradare anche le sostanze più refrattarie». Al di là del caso dei PFAS, l’impiego dei batteri può dunque essere molto utile in ottica di tutela dell’ambiente. E, non solo: essi, infatti, possono essere utilizzati anche in agricoltura.
«Oltre a quelli in grado di contrastare l’inquinamento, esistono microrganismi impiegabili nel contrasto alle malattie delle piante ed efficaci nel ridurre l’uso di diserbanti e pesticidi –spiega Puglisi –. Sono sicuri, crescono facilmente e non rappresentano una minaccia né per la natura né per l’uomo».
Insomma, dal micromondo a noi invisibile non arrivano solo le tanto temute malattie, ma anche soluzioni efficaci e naturali per problemi complessi.