Consorzio Vini come il soldato Ryan per salvarlo serve il "team Piacenza"
Il rischio concreto è che le più importanti decisioni che riguardano le produzioni territoriali vengano assunte a Bologna

Giorgio Lambri
July 18, 2025|25 giorni fa

Un grappolo di Malvasia di Candia aromatica
Tutto tace. La spinosa vicenda del Consorzio Tutela Vini Doc Colli Piacentini, che alla vigilia del suo quarantesimo compleanno (fu costituito nel 1986), rischia di disgregarsi ingloriosamente a fine anno sotto il peso delle defezioni dei suoi soci numericamente più importanti, non ha fatto registrare negli ultimi mesi - almeno pubblicamente - alcuno spiraglio positivo.
L’inquietante prospettiva di azzeramento di questo fondamentale organo locale - riconosciuto dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali come unico ente proponente a livello normativo in ambito di disciplinari di produzione - è uno spettro sempre più vicino.
Le conseguenze
La sua chiusura comporterebbe conseguenze gravi per tutto il sistema vitivinicolo della provincia di Piacenza. Concretamente, detto in soldoni, importanti decisioni che oggi vengono prese sui nostri vini Doc nel territorio e per il territorio, sarebbero delegate a Bologna. E con tutto il rispetto per la competenza e l’autorevolezza degli organi regionali, sarebbe un passo indietro di anni, in relazione, ad esempio, a tutte le progettate modifiche dei disciplinari che avevano recentemente animato la nostra galassia dei vini nel tentativo di alzare l’asticella della qualità e della promozione al di fuori del territorio. I disciplinari - tanto per capirci- rappresentano le regole di produzione dei vini Doc e Igt tutelati dal Consorzio. Decidono e controllano ad esempio la denominazione, i vitigni di riferimento e la loro composizione, oltre alla zona di produzione. Ma anche le disposizioni relative alle caratteristiche dell’uva, degli impianti e delle rese; le indicazioni relative alla vinificazione, alla commercializzazione e i richiami a norme comunitarie; le caratteristiche tecniche finali del prodotto. Insomma, sono la “Bibbia” dei nostri vini certificati.
In assenza del Consorzio, tanto per essere chiari, le eventuali nuove regole di produzione, promozione, tutela e commercializzazione - che so? - del Gutturnio verranno decise a Bologna.
C’è ancora tempo?
C’è ancora tempo per evitarlo? Certamente sì, anche se non tanto. Ma serve uno sforzo congiunto che unisca piccole e grandi cantine con le istituzioni del territorio; le amministrazioni del capoluogo e dei tanti comuni che producono vino, la Provincia, ma anche le associazioni di categoria, a cominciare da quelle che rappresentano il mondo agricolo, ma anche l’imprenditoria, quindi Confindustria e Confapi (che potrebbero anche offrire supporto logistico). Serve il contributo di chi promuove il territorio perché il turismo enogastronomico non resti solo una dichiarazione di intenti da sventolare all’ennesimo convegno sul marketing locale.
Le strategie
Insomma ci vuole la “squadra Piacenza” per dare al Consorzio nuova linfa e prospettive, non di mera sopravvivenza - comunque fondamentale, al momento - ma di sviluppo. Servono strategie che partano dai grandi numeri dei nostri vini da pasto (principalmente Gutturnio e Ortrugo) che si riversano in milioni di bottiglie sul tavole della provincia, ma anche della vicina Lombardia, ma non trascurino, anzi implementino, le produzioni di alta qualità, capaci di farci conoscere anche al di fuori dei confini nazionali, ad esempio quelle legate al nostro più nobile vitigno autoctono, la Malvasia di Candia aromatica.
Le cantine sociali
E in questo contesto tutti debbono sentirsi responsabilizzati a cominciare dalle due cantine sociali del territorio, Valtidone e Vicobarone, che proprio per la loro natura “associativa” rappresentano un fiore all’occhiello dell’imprenditoria sostenibile. Ma anche grandi gruppi come 4 Valli e Casabella, eccellenze come La Tosa e Luretta, cantine storiche come Bonelli, La Stoppa, Torre Fornello e tante altre devono dare il loro contributo, ognuno secondo la propria vocazione e la propria filosofia produttiva, ma tutti accomunati dall’intento di salvare il Consorzio e nello stesso tempo ripartire per una nuova stagione vincente del vino piacentino. Serve un consorzio che sia orgoglio del territorio e testimonial del brand “colli piacentini”, che esalti la peculiarità biodiversità dei nostri suoli e conseguentemente dei nostri vini. È ora di mettersi in moto per costruirlo, mettendo da parte la logica degli “orticelli” e le antiche inimicizie. Ce la faremo? Sperùm...
