Pianello, '75: i civici vincono sulla Dc. Una messa lo ricorda
Fu un'impresa non scontata: «Ricevevamo telefonate anonime. Dicevano alle mamme che eravamo delle Brigate Rosse». La piscina costruita da volontari

Elisa Malacalza
June 2, 2025|23 giorni fa

La lista civica che vinse alle elezioni del 1975
Sono i primi anni Settanta, sono gli anni del diritto a divorziare, quando esplode il colore e nascono le radio libere. A Pianello, nel giugno del 1975, la percentuale di votanti è qualcosa da occhi fuori dalle orbite: 92,8 per cento. Si vota tutti, è come dire "Esco vestito ogni mattina di casa". Nel 1975 finisce la guerra del Vietnam e tira già l’aria della vicina riforma sanitaria più importante che sia mai stata scritta, della riforma 194 dell’aborto, dei tre papi. Di una storia minima come quella di Pianello che nel ‘75 votò per la prima volta l’invotabile: un’alternativa alla Democrazia Cristiana che aveva governato il paese per decenni senza stop. Fu una rivoluzione che portò a Radio Patriots, a una tv a Pianello, e ad articoli su articoli pubblicati sul giornale Sold Out. Portò, quella vittoria, alla piscina del paese costruita tutta con le donazioni della gente.
«Come Comune mettemmo a disposizione il 10 per cento della spesa. Ma la parte del leone la fece la gente. Vennero a lavorare elettricisti, muratori, volontari. In cambio, oltre a un panino col salame, avevamo dato i buoni per entrare gratis in piscina, sulla base delle ore di lavoro. La piscina costava 150 milioni».
Quella piscina, bellissima, aprì, e gli amministratori finirono in tribunale a Piacenza: «Ci avevano denunciati perché non si può pagare un’opera pubblica con buoni piscina», ricordano con un sorriso. «Ma finì in niente. Vincemmo la causa con le nostre valide ragioni».
E' un’emozione di quelle incise nella memoria più di un disco di Battiato e Battisti, per chi visse l’adrenalina di quell’anno, tanto che il 14 giugno alle 18 sarà celebrata una messa - a celebrarla sarà don Gigi Bavagnoli - per ricordare quella vittoria, quando le liste civiche ancora non andavano così di moda, anzi, erano qualcosa completamente di nuovo, di fuori dagli schemi prima imposti dai partiti il cui credo era pari al Padre Nostro.
LA MESSA PER TUTTI, MAGGIORANZA E MINORANZA
Sarà una specie di messa riparatrice, perché nessuno ha mai forse detto grazie a quella gente che si tirò su le maniche, unita, facendo lo slalom tra i sospetti, tra le accuse cattive come quelle di un paese saranno essere: «Ricorderemo tutti gli amministratori del ‘75 che non sono più tra noi, per il loro senso civico, per la loro disponibilità, per il loro impegno, la loro buona volontà», spiegano Giuseppe Bugoni e Fabrizio Narboni, che nel 1975 erano i più giovani tra le liste, quando la politica era fatta solo da uomini cresciuti nelle scuole dei partiti. «Faremo benedire un mazzo di fiori in loro onore, che porteremo al monumento ai caduti». Poi il pranzo "Da Cesarina" a Trevozzo. «Stando all’andamento delle elezioni regionali e provinciali, avremmo dovuto perdere», ricordano Narboni e Bugoni. «Invece andò diversamente e forse non ci credevamo neanche noi. La Dc era il potere ossidato, gli accordi veri venivano fatti nelle canoniche, nei consigli pastorali. Del resto la parrocchia era stata tanto presente anche in tutti noi, come spazio associativo, al campetto dell’oratorio. Ma fuori il nostro cinema proiettava film solo eventualmente «con riserva», e noi volevamo un cambiamento. Volevamo quella libertà che è partecipazione».
A Pianello il ‘68 arrivò in ritardo: «Eravamo la periferia. Però ne sentivamo ancora tutto l’effetto, l’adrenalina. Ci costò caro, in termini personali. Arrivarono a casa lettere anonime che ci accusavano di far parte delle Brigate Rosse. Anche telefonate, al telefono di casa». «Mia mamma poi gestiva un bar, alcuni clienti venuti a sapere che mi sarei candidato in una lista civica scelsero di non venire più. Per lei fu un dolore. Le telefonate arrivavano tra le 21 e mezzanotte. Noi però eravamo galvanizzati», ricorda Narboni, che è stato anche assessore a Rivergaro e oggi è un nonno felice.
Parlare di allora, e chiedere la celebrazione della messa, è un modo per veder ripagato il costo umano di quell’esperienza: «E ricorderemo anche il nostro avversario ovviamente, il capolista, l’onorevole Sergio Cuminetti, che fu esempio di eleganza politica anche nel confronto di cui aveva profondo rispetto. Abbiamo avuto con lui scambi memorabili», ricorda Bugoni. «Insieme a lui aiutammo Pinetto, un muratore caduto da una impalcatura che volevamo potesse avere almeno il diploma di terza media. Andai a una riunione della Dc per parlare a Cuminetti, gli dissi che credevo potesse diventare bidello, anche da invalido. Oggi è la nostra memoria storica, un angelo custode per la chiesa di Gabbiano, vicino a Rocca d’Olgisio, una chiesetta cui tutti noi siamo devoti». E oggi? Che paese è Pianello? «Come gli altri paesi non è più quello di un tempo. Perché nei paesi viene meno la forza aggregativa, il desiderio di fare comunità, di creare comunità. Di essere comunità. Il nostro era un altro mondo. Ci informavamo di quali famiglie potessero avere bisogno». La lista era laica, ma non partitica: «Fu quello a farci vincere. Tre persone in lista erano della Dc, ma credevano nel cambiamento, tre del Pci, tre erano socialisti. Il nostro sindaco fu Nando Braga. Vincemmo con 903 voti contro gli 853 degli altri. Un pelo. Ma che anni, ragazzi».
LE SPILLETTE E I PE' DA DLA'
Nell'atelier dell'artista Paoletto Novara si tennero le prime riunioni del gruppo: era lui a dire di non badare troppo a chi la pensava diversamente, «Non li puoi capire perché loro agiscono con un pe’ da dlà», diceva. Questo, spiega Bugoni, a significare che essere da una determinata parte (la Democrazia Cristiana) voleva dire essere già con un piede in Paradiso per cui avendo quella certezza «qui sulla terra puoi fare quello che vuoi, a differenza degli altri esseri normali. Si ragionava così».
Bugoni non sta fermo un secondo: l’energia la trova tutta in quegli anni, nel loro ricordo, perché sa che credere in qualcosa di più "alto" rispetto all’appiattimento culturale dei social è possibile. «Ho fatto fare in un centinaio di spillette con la scritta "Io voto sempre", per urlare al mondo che sono innamorato della democrazia. Qualcuno è in difficoltà nell’accettarla. Forse perché l’uomo "comune" ha il terrore di esporre una propria idea fuori dal coro. Non fa nulla, non me la prendo... Andrò avanti così, per dare un mio contributo piccolissimo alla salvaguardia di valori che ritengo fondamentali. Siamo matti? Lo siamo stati anche nel 1975. E cinquant’anni dopo dico meno male».
