Gli anni Ottanta più impegnati, Hollywood denuncia le dittature militari
L’oscura stagione latinoamericana tra regimi e derive autoritarie: da “Il bacio della donna ragno” al recente “Io sono ancora qui”
Redazione Online
June 4, 2025|21 giorni fa

Julia e Hurt ne “Il bacio della donna ragno”
Gli Ottanta sono di solito considerati come anni trascorsi all’insegna della spensieratezza e del disimpegno. Per quanto i luoghi comuni possano essere poco corrispondenti alla realtà, è anche vero che nascondono sempre un fondo di verità: nelle sale cinematografiche le produzioni che trattano temi sociali, politici e civili non sono paragonabili per qualità e quantità a quelle dei Settanta.
Eppure tra i film di maggior successo è necessario ricordare “Il bacio della donna ragno”, di cui quest’anno ricorre il 40esimo anniversario, essendo uscito nel 1985. Realizzato dal regista Héctor Babenco, il film riscosse un notevole successo internazionale, giungendo perfino a contendere il premio Oscar al gotha di Hollywood – rappresentato nella cerimonia del 1986 da “La mia Africa” di Sidney Pollack (vincitore), “Il colore viola” di Steven Spielberg, “L’onore dei Prizzi” di John Huston e “Witness – Il testimone” di Peter Weir.
La storia tratta dall’omonimo romanzo dell’argentino Manuel Puig, abituato da sempre a bazzicare intorno al cinema come fonte di ispirazione (lo scrittore è autore di numerose sceneggiature nonché dei romanzi da titoli eloquenti come “Il tradimento di Rita Hayworth” e “Gli occhi di Greta Garbo”), racconta la convivenza carceraria tra un omosessuale condannato per adescamento di minori e un rivoluzionario arrestato per attività sovversiva.

I due magnifici e compianti interpreti, rispettivamente William Hurt e Raúl Juliá (il ruolo della “donna ragno” del titolo è affidato alla conturbante Sonia Braga), animano un’amara critica alla repressione sessuale e un’aspra denuncia ai violenti metodi polizieschi che scosse le platee internazionali. “Il bacio della donna ragno” è uno degli esempi più celebri di pellicole che riguardano quell’oscura stagione latinoamericana, a cavallo tra gli anni Sessanta e Ottanta, caratterizzata da regimi e derive autoritarie.
Impossibile citare tutti i film realizzati nei decenni scorsi fino al recente “Io sono ancora qui”, ambientato nel 1971 in un Brasile alle prese con la dittatura militare: ci limiteremo pertanto a una rapida carrellata dei titoli più noti o significativi, circoscrivendo l’ambito ai Paesi del Sud America.
Sempre nel 1985 uscì “La storia ufficiale” di Luis Penzo trionfatore, lui sì, all’Academy come miglior film straniero: nel drammatico racconto del regista argentino la vicenda personale di una donna si intreccia con il dramma dei desaparecidos.
Sono gli anni delle manifestazioni delle coraggiose madri di Plaza de Mayo, che chiedevano giustizia e verità per i loro figli scomparsi nel nulla. L’Argentina intraprendeva un faticoso percorso di riflessione sulle colpe della propria classe dirigente che portò anche al processo alla giunta militare che ha guidato il Paese fino al 1983, raccontato magistralmente nel film “Argentina, 1985”.
Il lavoro dei pubblici ministeri Strassera (il bravissimo Ricardo Darín) e Moreno-Ocampo è descritto con cura e ammirazione, senza perdere di vista l’ostilità di certi ambienti che avrebbero avuto interesse a insabbiare ogni accusa e a far calare un provvidenziale velo d’omertà sulla vergognosa storia recente. La superstar Darín, ammirato tra gli altri da Quentin Tarantino, è protagonista anche di “Capitano Kóblic”, un intelligente thriller che solleva il tema della responsabilità morali dei militari di fronte a ordini crudeli e criminali.
Negli anni ’90, invece, un Paese non meglio precisato, ma identificabile con l’Argentina di Videla o il Cile di Pinochet fa da sfondo a “La morte e la fanciulla” (’94) di Roman Polanski.

Il maestro franco-polacco ribalta i rapporti di forza tra vittima e carnefice, in un film cupo e teso sostenuto in gran parte dalla bravura di Sigourney Weaver e Ben Kingsley. Trasferendoci dall’altra parte della cordigliera andina, impossibile non citare il cineasta più famoso del Cile: quel Pablo Larraín che ha avuto modo di riflettere più volte sulla pagina più tristemente celebre della storia del suo Paese, passando dai toni macabri di “Post Mortem” (2010) fino a quelli onirici de “El Conde” (2023), e sulla sua fine sancita dal referendum del 1988 in “No – I giorni dell’arcobaleno” (2012).
Interamente cilena è anche l’ambientazione di un altro grande classico come “Missing – Scomparso” con cui Costa-Gavras porta sul grande schermo il vero caso del giornalista americano Charles Horman, scomparso all’indomani del golpe.
Il cineasta greco era particolarmente legato al Paese dove aveva girato, poco prima del colpo di stato di Pinochet, “L’Amerikano” (1972). Ambientato in Uruguay, il film può essere considerato vero e proprio capofila di questo filone, perché denuncia le ingerenze degli Stati Uniti e della CIA nella politica degli stati Sudamericani.
La detenzione e l’isolamento dei dirigenti tupamaros e del futuro presidente della piccola repubblica rioplatense José Mujica - da poco scomparso - sono state raccontate nel claustrofobico “Una notte di 12 anni” (2018) diretto da Álvaro Brechner. Degno di menzione è anche il film tv “Un uomo in guerra” (1991) che vede sir Anthony Hopkins interpretare il medico Joel Filártiga, alle prese con il corrotto regime del paraguaiano Alfredo Stroessner responsabile della morte violenta di suo figlio. Ancora una volta il cinema, l’arte del Novecento, dimostra la sua capacità di indagare con una pluralità di voci e toni i grandi fatti della storia.
Alessandro Garavaglia