Grazie di tutto Ozzy Osbourne, voce di chi prova dolore

La scomparsa di Osbourne, principe delle tenebre, lascia nello sconforto la legione dei fan. Il ricordo dei concerti del 2012 e 2018

Danilo Di Trani
Danilo Di Trani
July 24, 2025|16 giorni fa
Ozzy Osbourne EPA/ADAM WARZAWA POLAND OUT
Ozzy Osbourne EPA/ADAM WARZAWA POLAND OUT
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Il principe delle tenebre, Madman, l’ordinary man, il padre dell’heavy metal, anzi, come disse lui stesso, il fratello maggiore. Semplicemente Ozzy, un nome che è diventato un simbolo, un nome che non esiste, ma è ormai immortale.
Ozzy Osbourne è morto e se n’è andato come voleva, come aveva deciso. Non poteva lasciare questo mondo senza l’estremo saluto, senza aver infiammato il pubblico per l’ennesima volta, l’ultima. “Non avete idea di come io mi senta adesso, vi ringrazio dal profondo del mio cuore” queste sono state le sue parole nell’ultimo concerto, neanche tre settimane fa a Birmingham, la sua città, la città dei Black Sabbath. Già, i Black Sabbath, la band che ha segnato un’epoca e che ha gettato le fondamenta di un genere musicale: il metal, l’heavy metal.
Ozzy Osbourne non era solo il cantante del gruppo, era la voce, l’anima, il cuore pulsante. Forse neanche lui stesso si è reso davvero conto di quel che è diventato, di cosa sia riuscito a creare. Ha unito più generazioni di appassionati di rock e metal, come il sottoscritto. E in un mondo di divi, artisti che sembrano perfetti sempre nel posto giusto al momento giusto, Ozzy era una scintilla, la vera rappresentazione dell’underdog, un termine fin troppo abusato in maniera inutile e irrazionale negli ultimi anni. Ozzy non vuole essere perfetto e non vorrebbe essere ricordato come il cantante infallibile. Lui ha fallito tante volte, è emerso dalla periferia inglese più stereotipata della nebbia e delle fabbriche. Dislessico, balbuziente, ha reso le sue debolezze un punto di forza. I compagni di scuola lo prendevano in giro perché non riusciva a pronunciare il suo stesso cognome Os..Os…Osbourne. E così la S si è irrigidita ed è diventata Z, fino a dar vita a un soprannome, un nome immortale: Ozzy.
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Lo stesso nome che si era tatuato sulla mano sinistra incidendo una lettera su ogni dito, da solo, con un ago da cucito, quando era ancora giovanissimo. Qualcosa di folle, come ne ha fatte tante. Non ha mai fatto mistero della sua follia, rendendola un tratto distintivo. Lo ha sempre cantato: Paranoid coi Black Sabbath, Crazy Train da solista per fare due esempi. Non è stato solo il leader della band. Dopo essere stato cacciato per i suoi eccessi di droghe e alcool, ha intrapreso la carriera da solista, diventando leggenda. Poi di nuovo il baratro, la morte del suo amico e chitarrista Randy Rhoads, i problemi familiari, il secondo matrimonio con Sharon, l’unica persona che è riuscita a tenerlo a bada, non senza difficoltà.
Grazie di tutto Ozzy
Una volta, Ozzy, ubriaco, tentò di strangolarla. Lei lo perdonò, costringendolo a seguire un programma di riabilitazione. E da quel momento è riuscita a rendere Ozzy un brand pop. Album, canzoni di successo mondiale, concerti in giro per il globo, merchandising di ogni genere. E ancora l’episodio del morso al pipistrello sul palco che ha legato questo animale a Ozzy in maniera indissolubile, la creazione dell’Ozzfest, un festival di concerti itinerante, il reality The Osbournes… No, Ozzy non era solo un cantante, era la voce di chi prova dolore, di chi si sente a disagio, di chi vuole farla finita, ma desidera urlare al mondo le proprie emozioni. I puristi del canto hanno sempre detto che la sua voce non era perfetta, che non poteva cantare con la gola in quel modo. Hanno anche detto che non è spiegabile come abbia potuto cantare per così tanti anni, come i medici non riescono a capire come abbia fatto a essere così longevo con l’uso massiccio di droghe e alcol. Vederlo sul suo ultimo palco, seduto su un trono, è stato commovente. Il Parkinson, questa volta, non ha vinto, è riuscito a cantare per il suo pubblico dopo sei anni di stop. 190 milioni raccolti dal concerto e devoluti alla ricerca su questa malattia. Da giornalista, il mio più grande rimpianto è non averlo intervistato. Da suo fan, non averlo mai incontrato di persona. L’ho ammirato due volte in concerto: a Milano nel 2012, a Barcellona nel 2018. Quello che più mi ha colpito era il rapporto con i fan. Si staccava dal microfono, si avvicinava al pubblico, sul quale lanciava secchiate d’acqua, lo incitava con i suoi famosi “Louder”, “Come on” o “Let me hear you”. Tutto era finalizzato al divertimento del pubblico con il quale aveva un rapporto viscerale. Perché Ozzy è carne viva, un nervo scoperto, pazzia, autenticità, fuoco che arde. Cantavi “I don’t wanna change the world”. E invece il mondo lo hai cambiato totalmente. Rockstar, icona pop, leggenda e maestro di autoironia, primo fra gli ultimi. Back to the Beginning il titolo dell’ultima esibizione, ora il cerchio si è chiuso. Adesso i pipistrelli si sentono tutti un po’ Bambi. He’s coming home. Grazie di tutto, Ozzy.
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