Dalla tivù al cinema, i cartoni giapponesi diventano extralarge

L’invasione dei film d’animazione “ricostruiti” a tavolino assemblando qualche episodio e adattando il doppiaggio

Michele Borghi
Michele Borghi
June 25, 2025|10 ore fa
Dalla tivù al cinema, i cartoni giapponesi diventano extralarge
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Tutti al cinema per ammirare la tv dei ragazzi in versione extralarge. Antonio Vocale, instancabile ideatore della pagina Facebook "Recensioni Malsane Reloaded", torna a colorare la pagina Cinepop con gli anime distribuiti in sala - anno più, anno meno - tra il 1978 e il 1981: «Erano film legati ai cartoni animati famosi che noi bambini guardavamo all’epoca sulla Rai e più spesso sulle emittenti locali. Molti erano riadattamenti "nostrani", ovvero spezzoni di episodi rimontati, spesso con un nuovo doppiaggio per farli sembrare un racconto autoconclusivo».
Quindi non erano pellicole pensate per il cinema in Giappone?
«Di solito i nostri distributori prendevano tre o quattro puntate e le cucivano senza troppi pensieri. Ma succedeva anche che si univano alcuni mediometraggi nati per le sale del Sol Levante. Oppure, come nel caso di Heidi, Candy Candy e Remi, il racconto veniva riassunto prendendo stralci dai vari episodi e uniformando il tutto con un nuovo doppiaggio. Era una pratica comune per cavalcare la popolarità di certi personaggi».
C’è qualche titolo di quel periodo che l’ha colpita?
«Mi viene in mente "Heidi diventa principessa". Non era proprio un classico anime d’azione, ma un mediometraggio fiabesco che uscì da noi nel 1978. Per chi lo vide al cinema, un vero cult. Aveva una canzoncina che ti si piantava in testa e non la dimenticavi più. Heidi non c’entrava nulla, ma la protagonista ricordava, come disegno, la celebre pastorella. Le affibbiarono anche la stessa voce italiana del cartone. Ci fu poi un "fake" di Remi... Noi lo chiamavamo "brutto" perché non c’entrava con quello televisivo, in realtà risaliva a una decina d’anni prima. Fu rispolverato, con tanto di merchandising, solo per cavalcare la risonanza del successo dell’anime trasmesso dalla Rai».
Esiste una lista completa di questi film?
«Su Facebook ho messo insieme tutto quello che ricordavo e che sono riuscito a trovare, anche facendo riferimento agli archivi di alcuni quotidiani. Dai miei calcoli i film che sfruttarono questa ondata furono più o meno 25 o comunque meno di 30. Magari mi è sfuggito qualcosa, perché non è che ci sia tantissimo materiale su questo fenomeno. Però ho voluto essere preciso: per esempio, ho escluso i film animati giapponesi usciti prima di questa ondata, tipo "Leo il Re della Jungla" – che sarebbe "Kimba" – del 1970, o la saga de "Il Gatto con gli stivali" dei primissimi anni ’70, che comunque furono rimessi in circolazione per cavalcare l’onda».
A proposito di quotidiani, come venivano accolti questi film dalla critica?
Un'altra parata di cartoni animati usciti anche al cinema
Un'altra parata di cartoni animati usciti anche al cinema
«Con molta superficialità, devo dire. Non si teneva conto che fossero cartoni animati realizzati per la televisione e quindi con un budget decisamente inferiore a quelli Disney, a cui spesso venivano paragonati. Di solito venivano stroncati, anche con un po’ di pregiudizio verso tutto ciò che all’epoca provenisse dall’Oriente».
Come era andare al cinema a vedere questi film da bambino? Che atmosfera si respirava?
«Avevo 9 o 10 anni, vivevo in un paese in provincia di Foggia. La domenica mattina c’erano queste proiezioni a prezzi ridotti, e per noi ragazzini era un appuntamento fisso. Andavamo in gruppo, con gli amici del quartiere o i compagni di scuola, senza genitori. Era una festa! E non è che fosse una cosa nata con gli anime: da sempre c’erano queste proiezioni domenicali, magari con i film di Franco e Ciccio, o robe tipo film di pirati, di Ercole, Sansone. Oppure versioni cinematografiche di sceneggiati tv come "Sandokan" o "Orzowei": ne avevamo parlato mesi fa proprio in questa rubrica».
Un rito collettivo?
«Erano i personaggi che amavamo in tv, vederli sul grande schermo, a colori, era un evento. Poi c’era questa febbre per gli anime. Le case di distribuzione italiane lo sapevano e importavano anche film last-minute per sfruttare la notorietà di certe serie. Era un momento in cui l’animazione giapponese stava conquistando tutti, e noi bambini eravamo completamente rapiti».
Lei ammette di non aver trovato molto materiale online: pensa che questi film andrebbero studiati più a fondo?
«Spero di sì! Voglio dire, mi sembra strano che nessuno, che io sappia, abbia mai classificato questi film in qualche saggio, raccontandone la genesi, la struttura, il contesto. Magari qualche studioso o appassionato l’ha fatto, ma online non ho trovato granché. Io posso solo dire che li ho visti quasi tutti, e per me erano un pezzo della mia infanzia. È una storia che meriterebbe di essere raccontata meglio».
C’è un film di quell’epoca che consiglierebbe di riscoprire?
«Anche se "Heidi diventa principessa" mi ha colpito per la sua stranezza e per quella canzoncina che ancora mi risuona in testa, qualsiasi anime di quel periodo ha un fascino unico: sono come una macchina del tempo che ti riporta a quelle domeniche mattina di tanti anni fa».
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