Slash, dai Guns'n'Roses al cinema: «Amo fare tante esperienze diverse»
La sintonia con Axl e il ricordo di mamma Ola. Forse un nuovo album all'orizzonte

Eleonora Bagarotti
|27 giorni fa

Il chitarrista Slash
Forse, per comprendere la personalità di Slash, all’anagrafe Saul Hudson, bisogna partire da un suo ricordo d’infanzia. «Mia madre (la nota stilista e costumista Ola Hudson, ndr) ha disegnato persino i costumi per il film “L’uomo che cadde sulla terra” e David Bowie era sempre da noi, erano sempre insieme. Una volta li ho beccati nudi. Succedevano un sacco di cose, ma naturalmente la mia prospettiva era molto limitata. Quando ripenso a quel periodo, e a tutte le persone che si ritrovavano a casa mia quando ero piccolo, riesco a immaginare solo in maniera vaga quanto debba essere stato sconvolgente».
Ripeschiamo l’aneddoto non solo in virtù delle tante biografie (di Bowie, per il quale Ola concepì il dressing style del Duca Bianco, e dello stesso Slash nel libro scritto con Anthony Bozza), ma anche perché lui lo ribadisce nel corso delle numerose interviste rilasciate per promuovere l’uscita di “Deathstalker”, film che lo vede come produttore esecutivo, già presentato al Festival di Locarno e in altre rassegne cinematografiche. Del resto, «quando ero nella mia fase allucinatoria - prosegue il musicista, che con Bowie mantenne poi uno stretto legame per tutta la vita - fu lui ad aiutarmi ad uscire dall’abuso di droghe ed alcol».
Tutta questa “rabbia”, ma anche l’esser cresciuto in mezzo ad artisti tanto straordinari («mia madre lavorò con i più grandi, dai Beatles a Neil Young, dall’Inghilterra agli Stati Uniti»), lo ha probabilmente reso il chitarrista dagli assoli incredibili. Basti pensare a “November rain” e al suo duplice percorso con i Guns ‘n’ Roses.
Di sicuro, la sua carriera da produttore cinematografico è meno conosciuta, ma Slash tiene moltissimo a parlare proprio di quella che «ormai, da 13 anni, è la mia seconda professione. Il cinema mi interessa da sempre, in parallelo con i miei primi ascolti musicali. Sin da bambino avevo una passione per i thriller».
Ripeschiamo l’aneddoto non solo in virtù delle tante biografie (di Bowie, per il quale Ola concepì il dressing style del Duca Bianco, e dello stesso Slash nel libro scritto con Anthony Bozza), ma anche perché lui lo ribadisce nel corso delle numerose interviste rilasciate per promuovere l’uscita di “Deathstalker”, film che lo vede come produttore esecutivo, già presentato al Festival di Locarno e in altre rassegne cinematografiche. Del resto, «quando ero nella mia fase allucinatoria - prosegue il musicista, che con Bowie mantenne poi uno stretto legame per tutta la vita - fu lui ad aiutarmi ad uscire dall’abuso di droghe ed alcol».
Tutta questa “rabbia”, ma anche l’esser cresciuto in mezzo ad artisti tanto straordinari («mia madre lavorò con i più grandi, dai Beatles a Neil Young, dall’Inghilterra agli Stati Uniti»), lo ha probabilmente reso il chitarrista dagli assoli incredibili. Basti pensare a “November rain” e al suo duplice percorso con i Guns ‘n’ Roses.
Di sicuro, la sua carriera da produttore cinematografico è meno conosciuta, ma Slash tiene moltissimo a parlare proprio di quella che «ormai, da 13 anni, è la mia seconda professione. Il cinema mi interessa da sempre, in parallelo con i miei primi ascolti musicali. Sin da bambino avevo una passione per i thriller».

Parliamo di “Deathstalker”. Cosa l’ha convinta a produrlo?
«Si tratta di un remake di un film del 1983, un genere tra “spade e stregoneria”, attorno alla figura mitica del protagonista eroe, che viene perseguitato da dei mostri persecutori. Quando ho ricevuto il copione ero molto curioso. Mi sono reso conto subito che la sceneggiatura era dannatamente fantastica e ho pensato che sarebbe stato un film divertente, soprattutto se fossimo riusciti a mantenere quell’aspetto ironico delle storie originali. Il regista, Steven Kostanski, ha mantenuto un “vecchio stile” anche per gli effetti speciali e le atmosfere, questo mi piace moltissimo. Conoscerlo e trovarmi sulla sua stessa lunghezza d’onda ha fatto decollare il progetto».
«Si tratta di un remake di un film del 1983, un genere tra “spade e stregoneria”, attorno alla figura mitica del protagonista eroe, che viene perseguitato da dei mostri persecutori. Quando ho ricevuto il copione ero molto curioso. Mi sono reso conto subito che la sceneggiatura era dannatamente fantastica e ho pensato che sarebbe stato un film divertente, soprattutto se fossimo riusciti a mantenere quell’aspetto ironico delle storie originali. Il regista, Steven Kostanski, ha mantenuto un “vecchio stile” anche per gli effetti speciali e le atmosfere, questo mi piace moltissimo. Conoscerlo e trovarmi sulla sua stessa lunghezza d’onda ha fatto decollare il progetto».
Anche nella musica continua a piacerle il “vecchio stile”?
«Assolutamente sì. Era liquida? No... Rock’n’Roll!».
«Assolutamente sì. Era liquida? No... Rock’n’Roll!».
A Locarno ha ricordato gli anni in cui lavorava alla Tower Records, un’esperienza che l’ha segnata anche in tutto ciò che ha fatto dopo.
«Proprio così. E non solo per il fatto di essere circondato da dischi di ogni genere, ma anche da videocassette. Proprio tra gli scaffali ho scoperto il film originale, quindi per me produrlo ha avuto anche un valore sentimentale, nostalgico».
«Proprio così. E non solo per il fatto di essere circondato da dischi di ogni genere, ma anche da videocassette. Proprio tra gli scaffali ho scoperto il film originale, quindi per me produrlo ha avuto anche un valore sentimentale, nostalgico».
Com’è iniziata la sua carriera nel cinema?
«Nel 2013 pensavo al fatto che non stava uscendo più niente di buono al cinema. La sera di Halloween ero a una festa e mi ritrovai per caso a parlare con un tizio, poi scoprii che faceva il produttore. Mi invitò ad entrare nel suo settore, anche se - a dire il vero - non ci pensavo. Ed è così, un po’ per caso, che è cominciato. Ci siamo ritrovati a leggere dei copioni, io ne ho scelto uno che era per un film intitolato “Nothing left to fear”. All’inizio, però, non funzionava niente. Alla fine, dopo un grande impegno, andò tutto bene. Lì, ho capito che mi rendeva molto fiero e soddisfatto, quel lavoro. Gli ostacoli, già in questa esperienza, furono così tanti che avrei dovuto rinunciare... ma non sono il tipo che si abbatte facilmente! Dopo aver concluso questo progetto, mi appassionai così tanto che ho continuato fino ad oggi. È un lavoro ingrato, che non rende molto, ma adoro il processo creativo».
«Nel 2013 pensavo al fatto che non stava uscendo più niente di buono al cinema. La sera di Halloween ero a una festa e mi ritrovai per caso a parlare con un tizio, poi scoprii che faceva il produttore. Mi invitò ad entrare nel suo settore, anche se - a dire il vero - non ci pensavo. Ed è così, un po’ per caso, che è cominciato. Ci siamo ritrovati a leggere dei copioni, io ne ho scelto uno che era per un film intitolato “Nothing left to fear”. All’inizio, però, non funzionava niente. Alla fine, dopo un grande impegno, andò tutto bene. Lì, ho capito che mi rendeva molto fiero e soddisfatto, quel lavoro. Gli ostacoli, già in questa esperienza, furono così tanti che avrei dovuto rinunciare... ma non sono il tipo che si abbatte facilmente! Dopo aver concluso questo progetto, mi appassionai così tanto che ho continuato fino ad oggi. È un lavoro ingrato, che non rende molto, ma adoro il processo creativo».

Progetti futuri?
«Ho un altro paio di film in cantiere con i ragazzi con cui abbiamo appena fatto “Deathstalker”. E tante altre idee».
«Ho un altro paio di film in cantiere con i ragazzi con cui abbiamo appena fatto “Deathstalker”. E tante altre idee».
Parliamo di musica. Com’è stato suonare in Italia, quest’anno, con i Guns ‘n’ Roses, con i quali è tornato nel 2016, dieci anni dopo essersi allontanato dalla band?
«La cosa bella è il pubblico. Non è una frase fatta, tutti sanno che suonare in Italia è una cosa bellissima. Devo aggiungere che sento una grande sintonia con Axl e con gli altri. Abbiamo un sacco di belle canzoni, diciamolo. E a Firenze è stato un gran bel concerto!».
«La cosa bella è il pubblico. Non è una frase fatta, tutti sanno che suonare in Italia è una cosa bellissima. Devo aggiungere che sento una grande sintonia con Axl e con gli altri. Abbiamo un sacco di belle canzoni, diciamolo. E a Firenze è stato un gran bel concerto!».
Cosa pensa delle rockstar che continuano a fare tournée a dispetto dell’età?
«Se si riesce ancora farlo, perché no? E poi, si guadagna bene (ride, ndr.). Ma non credo sia solo questo. Suonare dal vivo è una bella ricarica di vita, per un musicista. Io, comunque, ho 60 anni...».
«Se si riesce ancora farlo, perché no? E poi, si guadagna bene (ride, ndr.). Ma non credo sia solo questo. Suonare dal vivo è una bella ricarica di vita, per un musicista. Io, comunque, ho 60 anni...».
E in studio? Negli ultimi tempi, lei ha spesso accennato a un nuovo album...
«L’anno scorso “Orgy of the Damned” mi ha dato soddisfazioni. Mi piace collaborare con i musicisti, l’ho sempre fatto anche nei miei album solisti, in studio. A volte penso a un nuovo album del gruppo, ma ora ho nuove canzoni e vorrei tenerle per me».
«L’anno scorso “Orgy of the Damned” mi ha dato soddisfazioni. Mi piace collaborare con i musicisti, l’ho sempre fatto anche nei miei album solisti, in studio. A volte penso a un nuovo album del gruppo, ma ora ho nuove canzoni e vorrei tenerle per me».
