"Dawson Creek": la serie tv simbolo dell'ultima generazione di sognatori
In onda in Italia tra il 2000 e il 2003, il teen drama di Kevin Williamson incarna le fragilità e le emozioni dei Millennial
Fabrizia Malgieri
|25 giorni fa

I protagonisti di "Dawson Creek" - © Libertà/Fabrizia Malgieri
È stato uno dei prodotti seriali simbolo della generazione dei Millennial. Tutti, almeno una volta nella vita, hanno intonato – o meglio, storpiato – le parole della sua sigla, “Anouanauai” (“I Don’t Want to Wait”, ndr). “Dawson’s Creek” è stata una delle serie teen drama più amate e re-watchate (questo è il termine “tecnico”!) di sempre, oltre ad essere quella che ha avuto l’arduo compito di posizionarsi a cavallo tra due secoli – anzi, tra due millenni – e raccontare con dovizia di particolari gioie e dolori degli adolescenti nati e cresciuti tra gli anni Ottanta e Novanta.
Creata da Kevin Williamson, la serie conta un totale di 6 stagioni con 128 episodi ed è stata trasmessa in Italia dal 2000 al 2003 – con un paio di anni di ritardo rispetto alla prima messa in onda statunitense, avvenuta nel 1998.
Il suo successo sta nella sua semplicità: “Dawson’s Creek”, infatti, racconta le vicissitudini di un gruppo di adolescenti – tra cui spicca il giovane Dawson Leery (James Van Der Beek), che dà nome alla serie – in una tranquilla cittadina immaginaria adagiata sul fiume in Massachusetts, chiamata Capeside. Lo stesso titolo è, in realtà, un gioco di parole: “creek”, infatti, oltre a significare “baia” o “insenatura” (in quanto la stessa casa di Dawson è posizionata nei pressi di una baia), il termine, in senso figurato, può significare anche “turbamenti”/ “turbolenze” – facendo evidente riferimento alla natura complessa e tumultuosa dell’età adolescenziale. Meglio del mondo patinato e irrealistico dei teen proposto appena qualche anno prima da “Beverly Hills 90210”, il segreto di “Dawson’s Creek” sta esattamente nella formula adottata per raccontare gli adolescenti: imperfetti, provenienti da famiglie non sempre funzionali, fragili, tormentati, ma al contempo anche pieni di sogni e speranze riposte nell’arrivo prossimo dell’età adulta. Lo stesso Dawson è un gran sognatore: il suo desiderio più grande è quello di incontrare Steven Spielberg (il suo regista preferito in assoluto, al punto da avere una riproduzione in peluche di E.T. – L’extraterrestre sul letto), e di diventare un autore cinematografico affermato proprio come lui. Porta spesso con sé la sua telecamera per catturare momenti di vita vissuta, per imprimere sul nastro magnetico i volti dei suoi amici più cari con cui condivide la quotidianità. Accanto a lui, come fieri cavalieri, c’è il suo migliore amico Pacey Witter (Joshua Jackson) – figlio del capo della polizia locale, con cui ha un rapporto piuttosto burrascoso – e la sua grande amica di infanzia Joey Potter (Katie Holmes), orfana di madre e con un padre in carcere. A questo ricco terzetto si aggiunge, abbattendosi quasi come una tempesta, l’enfant terrible Jen Lindley (Michelle Williams), ragazzina di città spedita in provincia dalla nonna “bacchettona” dopo essere stata espulsa dal liceo a New York – animo tormentato, per cui Dawson molto presto perderà la testa.
Creata da Kevin Williamson, la serie conta un totale di 6 stagioni con 128 episodi ed è stata trasmessa in Italia dal 2000 al 2003 – con un paio di anni di ritardo rispetto alla prima messa in onda statunitense, avvenuta nel 1998.
Il suo successo sta nella sua semplicità: “Dawson’s Creek”, infatti, racconta le vicissitudini di un gruppo di adolescenti – tra cui spicca il giovane Dawson Leery (James Van Der Beek), che dà nome alla serie – in una tranquilla cittadina immaginaria adagiata sul fiume in Massachusetts, chiamata Capeside. Lo stesso titolo è, in realtà, un gioco di parole: “creek”, infatti, oltre a significare “baia” o “insenatura” (in quanto la stessa casa di Dawson è posizionata nei pressi di una baia), il termine, in senso figurato, può significare anche “turbamenti”/ “turbolenze” – facendo evidente riferimento alla natura complessa e tumultuosa dell’età adolescenziale. Meglio del mondo patinato e irrealistico dei teen proposto appena qualche anno prima da “Beverly Hills 90210”, il segreto di “Dawson’s Creek” sta esattamente nella formula adottata per raccontare gli adolescenti: imperfetti, provenienti da famiglie non sempre funzionali, fragili, tormentati, ma al contempo anche pieni di sogni e speranze riposte nell’arrivo prossimo dell’età adulta. Lo stesso Dawson è un gran sognatore: il suo desiderio più grande è quello di incontrare Steven Spielberg (il suo regista preferito in assoluto, al punto da avere una riproduzione in peluche di E.T. – L’extraterrestre sul letto), e di diventare un autore cinematografico affermato proprio come lui. Porta spesso con sé la sua telecamera per catturare momenti di vita vissuta, per imprimere sul nastro magnetico i volti dei suoi amici più cari con cui condivide la quotidianità. Accanto a lui, come fieri cavalieri, c’è il suo migliore amico Pacey Witter (Joshua Jackson) – figlio del capo della polizia locale, con cui ha un rapporto piuttosto burrascoso – e la sua grande amica di infanzia Joey Potter (Katie Holmes), orfana di madre e con un padre in carcere. A questo ricco terzetto si aggiunge, abbattendosi quasi come una tempesta, l’enfant terrible Jen Lindley (Michelle Williams), ragazzina di città spedita in provincia dalla nonna “bacchettona” dopo essere stata espulsa dal liceo a New York – animo tormentato, per cui Dawson molto presto perderà la testa.

Come detto, l’originalità di “Dawson’s Creek” – ancor più della già citata “Beverly Hills”, che resta tuttavia la serie che ha dato origine al genere del teen drama, fino a quel momento inesistente – sta nella sua capacità di raccontare il mondo degli adolescenti in modo molto credibile: problemi di droga e alcolismo, conflitti con i genitori, bulimia, anoressia, suicidio, depressione e omosessualità sono solo alcuni dei temi concreti e reali che la serie di Kevin Williamson ha toccato nel corso delle sue sei diverse season. Il tutto, però, senza mai esasperarne i contenuti, ma parlandone attraverso dialoghi e situazioni molto verosimili, che hanno permesso ad una generazione complessa come quella dei Millennial – che potremmo definire gli ultimi dei sognatori – di riconoscersi e ritrovarsi nelle vite e nei vissuti dei suoi diversi personaggi.
Ultimo, ma non meno importante, uno dei grandi pregi di “Dawson’s Creek” in qualità di prodotto seriale figlio dei suoi tempi è un uso sapiente e curato della sua colonna sonora: oltre all’iconica “I Don’t Want to Wait”, sono diversi i generi che spaziano all’interno della serie, dal country-pop al pop, fino al rock romantico – nessuno dimenticherà l’uso di brani che hanno punteggiato le vicende dei teenager di Capeside, come “Smoke” di Natalie Imbruglia, “Kiss me” dei Sixpence None The Richer o del successo evanescente di una one-hit-wonder come “Crazy For This Girl” del duo Evan e Jaron, che accompagnò il triangolo amoroso tra Dawson-Pacey-Joey.
Ultimo, ma non meno importante, uno dei grandi pregi di “Dawson’s Creek” in qualità di prodotto seriale figlio dei suoi tempi è un uso sapiente e curato della sua colonna sonora: oltre all’iconica “I Don’t Want to Wait”, sono diversi i generi che spaziano all’interno della serie, dal country-pop al pop, fino al rock romantico – nessuno dimenticherà l’uso di brani che hanno punteggiato le vicende dei teenager di Capeside, come “Smoke” di Natalie Imbruglia, “Kiss me” dei Sixpence None The Richer o del successo evanescente di una one-hit-wonder come “Crazy For This Girl” del duo Evan e Jaron, che accompagnò il triangolo amoroso tra Dawson-Pacey-Joey.

Nonostante sia oramai trascorso tanto tempo dalla messa in onda dell’ultimissimo struggente episodio (non vi spoileremo cosa accadde, nonostante siano trascorsi più di 20 anni), gli stessi attori della serie – che nel tempo hanno costruito e coltivato le proprie carriere, ciascuno con esiti molto diversi – hanno dimostrato di essere rimasti molto legati tra loro dopo le esperienze sul set di “Dawson’s Creek”. Appena qualche giorno fa, infatti, l’intero cast si è riunito per un evento benefico dal titolo “Dawson’s Creek Class Reunion” al Richard Rodgers Theatre di New York. Lo spettacolo ha preso forma attraverso un “table read”, per cui si intende quel momento in cui avviene lo “spoglio” della sceneggiatura, e gli attori si ritrovano seduti attorno ad un tavolo per leggere e interpretare le proprie battute. L’unico grande assente sul palco – ma che è stato sostituito dalla star di Broadway Lin-Manuel Miranda – è stato, suo malgrado, lo stesso protagonista Dawson (Van Der Beek), il quale ha dovuto rinunciare alla sua partecipazione a causa del suo attuale stato di salute: appena qualche mese fa, infatti, è stato diagnosticato all’attore un cancro al colon, ma Van Der Beek ha voluto comunque salutare il pubblico in sala attraverso un commovente video-messaggio. In sua vece, tuttavia, erano presenti la moglie e le figlie, che si sono unite al nutrito cast di interpreti per intonare una toccante versione corale di “I Don’t Want to Wait” di Paula Cole. In un canto emozionante, forse anche un po’ stonato – come quello intonato dalla generazione dei Millennials, che ancora oggi vivono ancorati a quel mondo imperfetto ma indimenticabile, come quello della loro adolescenza.