Bud Spencer sigilla il sogno americano delle Pantere Rosa

"Lo chiamavano Bulldozer", dal football piacentino al set nel 1978: «Ricordi indelebili»

Leonardo Chiavarini
|28 giorni fa
Bud Spencer sul set con la squadra piacentina Pantere Rosa nel 1978
Bud Spencer sul set con la squadra piacentina Pantere Rosa nel 1978
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L’America chiama e Piacenza risponde, in grande stile. Si potrebbe sintetizzare così, in una frase, l’avventura di quei giovani ragazzi piacentini che negli anni ‘70 diedero vita alle “Pantere rosa”, una pagina di storia sportiva che ha reso la nostra città la porta d’ingresso del Football americano in Europa.
La vicenda delle Pantere, che hanno da poco festeggiato il loro cinquantesimo compleanno, sarebbe già abbastanza straordinaria così ; ma a renderla davvero unica è una pellicola cinematografica di grande successo. Infatti, è proprio nel film “Lo chiamavano Bulldozer” (1978) che Piacenza e l’America arrivano ad essere più vicine che mai. Come? Be’, prima di arrivare al dunque bisogna fare qualche passo indietro.
La locandina originale del film
La locandina originale del film
Corre appunto l’anno 1978 e le Pantere rosa, nate nel ‘75, sono la prima squadra italiana ed europea di football americano. Da un paio d’anni giocano ad armi impari nel campionato che vede impegnati i soldati americani assegnati alle varie basi sul suolo italiano: infatti, nella Penisola, non esistono altre società con cui competere, così l’unica cosa da fare è sfidare i militari a stelle e strisce. Risale al ‘76, a Tirrenia, l’esordio delle Pantere contro la squadra dei Darby rangers. Il punteggio è amaro: tra americani e italiani non c’è partita, ma la giornata resta memorabile e apre possibilità impreviste per i piacentini. Dapprima, arriva l’ingresso nel campionato Setaf, poi qualcosa di ancora più straordinario: il mondo del cinema, quello grande e luccicante che di solito sta a Roma, si interessa a quella vicenda di ragazzi di provincia e decide di farci un film. Non finisce qui. La produzione fa sul serio, comunica che la pellicola avrà Bud Spencer come protagonista principale e coinvolgerà le giovani Pantere in prima persona: spetterà infatti a loro il ruolo di controfigure sul set.
Così, il gruppo di giovani ed entusiasti ragazzi parte per Tirrenia, dove si girano le scene in esterna, e poi arriva a Roma, per completare le sequenze ambientate negli interni. L’esperienza durata alcuni mesi li unisce per sempre come squadra e come amici.
Per ricordare oggi la partecipazione alla pellicola diretta da Michele Lupo “Lo chiamavano Bulldozer” (1978), abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Pier Carlo Alberici, Claudio Deltrovi, Nicola Madelli, Filiberto Putzu, Silvano Rossi, Enrico Vecchia e Pietro Zoncati.
Una sequenza del film uscito nel 1978
Una sequenza del film uscito nel 1978
«Le giornate al centro Coni e sulla spiaggia di Tirrenia sono ricordi indelebili – raccontano – così come le riprese a Roma, negli studi De Paolis. Eravamo come un gruppo di scolari in gita: ogni giorno dall’hotel ci passavano a prendere con il pullman per portarci sul luogo delle riprese. Seduti su quei sedili, ascoltavamo le canzoni di Califano ed era sempre un ridere e scherzare tra di noi, come si fa a quell’età». Una goliardia ben presente anche sul set. «Per girare la scena di un pranzo di squadra – spiegano – la produzione aveva preparato un tavolo con il pollo fritto. Ci dissero di non mangiarlo veramente e di fare soltanto finta, ma noi non riuscimmo a trattenerci e ad ogni ciak finivamo per dare un morso». Durante le riprese, il ruolo svolto dalle Pantere non è solo simbolico. «Ci chiedevano consigli per gli esercizi che gli attori dovevano replicare nella scena di allenamento sulla spiaggia e poi anche per alcune azioni in campo e certi schemi di gioco». Al ricordo felice, purtroppo, è legato anche un episodio più fosco della storia d’Italia. «Eravamo insieme il 16 marzo del ‘78, ovvero il giorno del rapimento di Aldo Moro – raccontano le Pantere –. La troupe sospese i lavori e fu un’impresa trovare un ristorante aperto per mangiare, l’intero Paese era sotto shock e anche noi ragazzi ascoltavamo gli aggiornamenti con apprensione».
Quei mesi trascorsi da comparse de “Lo chiamavano Bulldozer”, però, restano soprattutto come indelebili memorie di gioventù. «Dalla produzione vollero noi perché, molto probabilmente, era stata la storia della squadra a ispirare l’idea della sceneggiatura – commentano oggi i partecipanti –. Fu un’esperienza unica, qualcosa di cui andammo fieri anche in settembre, alla prima del film nella nostra città, presso il cinema Corso. Ed è un’emozione che resta significativa anche oggi, a distanza di molti anni».