Da Zelda a Ellie videogiochi specchio di società e anche di tabù

L’evoluzione delle figure femminili nell’incontro “Playher” al campus Arata

Pier Paolo Tassi
|38 giorni fa
Da sinistra Giulia Martino, Gianluca Rocco e Gabriella Giliberti
Da sinistra Giulia Martino, Gianluca Rocco e Gabriella Giliberti
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Alcune combattono, altre curano. Alcune sono dee, altre vampiri. Altre ancora umane, troppo umane, cariche di quel bagaglio di finitudine e incertezza che ne fa icone di una società contemporanea segnata dall’avvento dell’intelligenza artificiale e, con essa, dal terrore di un futuro distopico in cui la tecnica prende il sopravvento ribellandosi al proprio creatore, come la Shodan di “System Shock”. Ma le figure femminili più rappresentative del mondo dei videogiochi sono anche molto di più: sono specchio del nostro immaginario collettivo, dei nostri tabù («compreso il sesso che ancora fatica a farsi largo nella rappresentazione videoludica ») e, perché no, anche della realtà sociale in cui ci troviamo, se – come sottolinea Giulia Martino, scrittrice ed esperta di produzioni dal basso - anche dalla Palestina (”Liyla and the shadow of war”) e da un rifugio antiaereo in Ucraina (da cui Dariia Selishcheva ha dato vita al suo “What’s up in a Kharkiv bomb shelter”), escono videogiochi che raggiungono tutto il mondo, raccontando la vita ai tempi della guerra. Di questi temi si è parlato ieri al campus Arata nell’incontro dal titolo “Playher”, dedicato alle figure femminili nel mondo dei videogiochi e moderato dal direttore di Libertà Gianluca Rocco. Figure che evolvono così come evolve, del resto, la rappresentazione artistica dell’universo femminile e la percezione del suo ruolo nella società tout court. «Siamo passati dallo stereotipo della guerriera ipersessualizzata à la “Lara Croft”, o della classica donzella da salvare, come poteva essere la prima Zelda (eterea e illibata, l’archetipo del trofeo femminile da conquistare), a figure che guadagnano il centro del racconto, attraverso una maggiore complessità e tridimensionalità, come la Ellie di “The last of us” – spiega Gabriella Giliberti, una delle più influenti critiche cinematografiche e dell’universo del gaming -. Ma in generale è il mondo del gaming stesso che sta anticipando fenomeni destinati a farsi largo anche nelle altre forme d’arte e nella società stessa. 
« Pensiamo solo a un dato: nel mondo ci sono 3 miliardi di gamer - prosegue Martino - con un’età media di 34 anni e con il 41% di giocatrici. Eppure, ciononostante, permane l’idea che quello dei videogiochi sia un settore di nicchia, quando nella realtà si tratta di una forma d’arte popolare che sta iniziando a imporre i propri canoni anche al mondo del cinema e a suscitare sempre maggior interesse anche dalla parte degli attori stessi».
Resta un tema da affrontare: quello della genderizzazione forzata, al femminile, delle nuove icone rappresentative dell’intelligenza artificiale, dalla già citata Shodan alle assistenti vocali Alexa, Siri e Cortana, che ci accompagnano nella vita di tutti i giorni. «Supergenderizzata, Shodan è una donna robot che in un futuro distopico cyberpunk impazzisce, ribellandosi al creatore maschio, ma anche a quel ruolo di cura che si tende ad appioppare alla metà del cielo femminile. Per questo sono convinta – chiude Martino - che ci siano ancora stereotipi che vanno abbattuti al più presto, prima che si radichino nel mondo del gaming diventando poi ancora più difficili da estirpare nella società».