Con le fiaccole verso l'acqua, simbolo di vita e di unione
La comunità di Farini è scesa sulla riva del Nure nel giorno in cui, dieci anni fa, il paese era stato sommerso da acqua e fango
Nadia Plucani
|35 giorni fa

FOTO ZANGRANDI
Con le fiaccole, davanti all’acqua, per chiedere al Cielo che possa essere sempre fonte di vita e non più di devastazione. Lunedì sera la comunità di Farini è scesa sulla riva del Nure nel giorno in cui, dieci anni fa, il paese era stato sommerso di acqua e fango che ha portato via case e quotidianità. Si sono riuniti vicino al muro che dopo l’alluvione del 2015 è stato costruito a difesa dell’abitato e che è diventato un memoriale grazie all’intuizione artistica di William Xerra.
«Fa’, o Signore, che ogni uomo possa sempre godere di questo refrigerio e conservando limpida e casta l’opera della creazione, veda in essa il riverbero della tua bontà», recitano alcune frasi della preghiera di benedizione dell’acqua pronunciate da don Claudio Carbeni. Lì nel buio, illuminato solo dalle fiaccole, l’acqua non si vedeva ma si sentiva scorrere. Il sindaco di Farini, Marco Paganelli, ha parlato alla sua gente. «Siamo qui come un unico cuore che spera - dice -, a ricordare le vittime, ma anche quanto quel drammatico evento ci abbia unito, quanto ciascuno è stato in grado di fare dopo, con le proprie mani, capacità, tempo. Anche chi portava un caffè, un bicchiere d’acqua, un panino ha contribuito a condividere le giornate. La condivisione ha fatto sì che il paese tornasse alla normalità. La forza viene dall’unione».
Presente anche la sindaca di Ferriere, Carlotta Oppizzi, che ha ricordato alcune ferite ancora aperte dal 2015 (come il ponte a Folli ancora da ricostruire) e altre che si sono presentate con l’alluvione del 2023, soprattutto alle strade, che pian piano si sta cercando di ripristinare. A margine della celebrazione, abbiamo raccolto la testimonianza della famiglia Masini, una delle tre farinesi a cui il Nure ha portato via la casa, accanto a quella che è diventata il simbolo dell’alluvione 2015, in bilico sul Nure. «Alle 2.30 di quella notte sembrava tutto sotto controllo - racconta Lino Masini -. Alle 3.30 in cortile c’erano 3 metri d’acqua. Siamo riusciti ad andare via con le auto e nel giro di un attimo il Nure è venuto giù, portando via come un fuscello il ponticello appena sopra di noi di cemento armato che pare fosse di 120 tonnellate. Ha abbattuto la casa prima di noi e poi ha centrato la nostra tirando via una fetta di fondamenta. Ci siamo dati da fare a telefonare, ma ormai era tutto compiuto».
Nella devastazione, ricorda don Carbeni, «si è sprigionata la forza migliore che è in noi, la solidarietà. Alcune persone, come don Luciano, nella dignità sono stati in mezzo a quella tragedia, a quel fango, lavorando perché si tornasse al più presto a una vita di consuetudine. Oggi dobbiamo imparare da quanto accaduto, a prenderci cura del Creato».